Rosa
Rinaldi Che su
questa parte di lavoratrici e lavoratori si sperimentano le forme più bieche di
sfruttamento nel lavoro. Vuol dire per la Fiom essere sindacato di tutte e tutti, così come richiesto nella lettera aperta alla Cgil dal comitato provvisorio immigrati: essere sindacato di tutte e tutti senza distinzioni, riconoscendo chi è più svantaggiato, chi vive peggio, chi ha più difficoltà, attivando una politica vera e propria di inclusione. Assumere, insomma, fattivamente la difesa dei diritti e delle aspirazioni delle lavoratrici e dei lavoratori migranti. Ciò rappresenta per la Fiom una sfida culturale. Non pensiamo che sia un lavoro semplice, rappresenta un cambiamento di comportamenti e di pensiero capace di permeare il muro della diffidenza, della indifferenza e degli atteggiamenti emarginanti che spesso ritroviamo anche nei posti di lavoro, nelle nostre fabbriche. E’ un’assunzione di responsabilità, una presa in carico; sta anche nelle nostre mani il compito di tentare di invertire la tendenza rispetto all’equazione largamente utilizzata: “immigrazione/sicurezza”. Anche noi non ce la possiamo cavare dicendo che poi le nostre iscritte, i nostri iscritti, le lavoratrici, i lavoratori, la pensano così. C’è bisogno di un’azione culturale di comunicazione, di confronto, di comprensione, se vogliamo invertire, appunto, quella tendenza. Equazione “immigrazione/sicurezza” che ha alimentato e nutrito gli atteggiamenti più xenofobi riconducendo un problema sociale sotto l’egida dell’ordine pubblico. Inquietanti, in questo senso, sono stati i programmi elettorali anche del centro sinistra tutti pregni di garanzia sulla sicurezza nelle città laddove si dovevano invece trattare questioni sociali legate al problema di una parte della nostra società. Uno degli aspetti più preoccupanti delle politiche sui flussi migratori è la tendenza a costruire vere e proprie fortezze legislative e repressive a difesa delle economie dei paesi più ricchi. E’ quanto accade, in questi giorni anche in Francia, laddove il ministro degli Interni sta inasprendo le leggi sull’immigrazione decidendo di chiudere il campo umanitario di Calais – che consentiva di passare dalla Francia all’Inghilterra – decidendo di espellere gli immigrati che stanno occupando una scuola. A tal proposito il leader dell’Ulivo in una intervista a le Figaro dichiara che: “mettere il problema della sicurezza e quello dell’immigrazione sullo stesso piano è giusto perché permette di condurre una politica efficace. La domanda di sicurezza non è appannaggio della destra ma un’esigenza sociale profonda, non è un approccio reazionario, gli immigrati devono rispettare le regole delle nostre società”. Se, non stupisce questa posizione, assolutamente coerente con il principale argomento di tutte le elezioni politiche e dei programmi dei partiti anche di centro sinistra, fa però impressione di come si siano smarrite le categorie interpretative dei fenomeni sociali, come non vedere che quegli argomenti trovano un terreno fertile in un tessuto sociale devastato nelle sue certezze dalle politiche liberiste di compressione dei salari e dei diritti, di precarizzazione continua delle condizioni di vita e di lavoro, di smantellamento del carattere pubblico ed universale dell’intervento sociale. Bisognerebbe dismettere questo linguaggio di guerra e prodursi in uno di accoglienza e di comprensione. La Legge “Bossi-Fini” è vessatoria e inefficace, un mix di incoerenza e ipocrisia, anche se, purtroppo, è più radicata di quanto si pensi, la convinzione che le migranti e i migranti possano arrivare fin che servono, magari per ricoprire posti vacanti che non si trovano sul mercato interno, come ad esempio gli infermieri, o per mansioni nocive, pesanti e indesiderate. Quello che va messo in evidenza, una volta per tutte, è che non c’è alcun riconoscimento del diritto all’immigrazione, della legittimità del progetto migratorio che spinge moltitudini di persone a cercare per sé stesse, una chance, una opportunità di riscatto di fuga dall’oppressione o da un destino senza speranza. Perché possa emergere dall’irregolarità, l’immigrata e l’immigrato deve diventare il soggetto di diritto, nella “Bossi-Fini” accade l’esatto contrario, accade che il portatore di diritto è il padrone e non l’immigrato, come in una sorta di restaurazione delle servitù medievali. Quel che non viene riconosciuta è l’uguaglianza. L’introduzione del contratto di soggiorno, subordina l’ingresso in Italia al contratto di lavoro, trasformando per questa via, il licenziamento in foglio di via; viene cancellato il reato di interposizione di manodopera, oggi trasformata in attività lecita ed estesa alle società di lavoro temporaneo e in affitto. E’ prevedibile la tendenza alla specializzazione di queste agenzie, magari reperendo forza lavoro direttamente nei paesi di origine, e quale speculazione queste stesse agenzie possano attivare in termini di tariffe di iscrizione in quei paesi. L’11 novembre sono scaduti i termini per la richiesta di regolarizzazione previsti dalla “Bossi-Fini” sono 550/600mila le domande presentate, e, che non è affatto detto si trasformino in altrettante regolarizzazioni. Certo va pur detto che è la prima volta da diversi anni che si registra un fenomeno di sanatoria così ampio. Non era mai accaduto negli anni precedenti. Abbiamo giudicato positivamente, ma tardiva, la circolare del ministero degli Interni del 31 ottobre 2002 sull’emersione dal lavoro irregolare, proprio perché essa rovescia l’interpretazione della legge che escludeva la possibilità di regolarizzazione per chi denunciava il rifiuto del datore di lavoro alla regolarizzazione; prevedendo che, laddove, una migrante o un migrante non assunto regolarmente, decidesse di avviare una vertenza, una denuncia contro il proprio datore di lavoro, a questi potesse essere riconosciuto un permesso di soggiorno di sei mesi. Una circolare, questa, uscita pochissimi giorni prima della scadenza, che rischia, se non prorogata come richiesto da Cgil, Cisl, Uil, dall’Arci, dalla Caritas e da tantissime altre associazioni, di trasformarsi in una beffa, oltre il danno che già ha prodotto, perché sono moltissime le persone che resterebbero tagliate fuori se non si ottiene la proroga. La segreteria nazionale ha deciso di avviare un lavoro permanente sull’immigrazione, relativamente alle lavoratrici e lavoratori migranti metalmeccanici e la costituzione di un coordinamento nazionale che preveda la costruzione di una rete di coordinamenti territoriali. Io non penso affatto a un coordinamento delegato alle politiche dell’immigrazione, non penso affatto a un coordinamento che è fatto solo dalle lavoratrici e dai lavoratori migranti, penso, invece, a un coordinamento che intrecci le responsabilità politiche, come è in Fiom la rappresentanza dei soggetti nei territori, che è il modo più efficace. Nelle prime
riunioni abbiamo constatato che nella maggioranza delle strutture Fiom non vi
sono né responsabilità specifiche né coordinamenti, ed è in questo senso,
che dalla riunione è emersa la necessità di dotarsi di coordinamenti anche a
livello di struttura. Non intendiamo produrre doppioni rispetto agli uffici immigrati delle Camere del lavoro, abbiamo bisogno di più risorse, non di risorse che si sovrappongono, ma piuttosto sviluppare una vera e propria attività sindacale di categoria per costruire linee sindacali e contrattuali che trovino spazio nelle politiche generali della Fiom. Lanciare, come facciamo con la piattaforma contrattuale, una stagione dei diritti e di sindacalizzazione tra le lavoratrici e lavoratori migranti. I temi affrontati, nelle prime riunioni sono stati, prevalentemente, quelli relativi alla piattaforma contrattuale approvata nell’assemblea nazionale delle delegate e dei delegati del 30 e 31 ottobre. Obiettivo
principale della piattaforma contrattuale è la lotta alla precarietà e
l’allargamento dei diritti, è facile intuire come proprio questi due temi
rappresentino una connessione strettissima con la condizione di lavoratrice e
lavoratore migrante. Una
questione importante dalla quale siamo partiti è quella relativa alla capacità
di comunicare sia della Fiom che delle aziende nei confronti delle lavoratrici e
dei lavoratori migranti: se non c’è la conoscenza dei propri diritti questi
non possono essere agiti. In
questo senso è necessario che le piattaforme contrattuali e gli stessi
contratti siano divulgati in più lingue, così come i materiali informativi che
attengono, in modo particolare, a vertenze e accordi; così come rivendichiamo
alle aziende l’agevolazione della conoscenza della lingua italiana anche con
appositi corsi formativi o agevolando la partecipazione ad essi. In
generale sarebbe utile prevedere ed organizzare un sistema di comunicazione
strutturato (bollettini mensili, ecc..), finalizzati alla diffusione delle
conoscenze e alla messa in rete dei esperienze, vertenze e accordi. C’è
è una forte sensibilità alla politica dei tempi in quanto, valga solo come
esempio, il “semplice” rinnovo del permesso di soggiorno comporta a volte la
necessità di dedicarvi più giorni; come ben sappiamo questa procedura è un
prerequisito fondamentale per le immigrate e gli immigrati, ma spesso è anche
motivo di conflitto con i datori di lavoro e con gli stessi colleghi. Per questa
ragione prevediamo la possibilità di assentarsi dal lavoro per poter fare
fronte a tutte le incombenze burocratiche, a partire dalle pratiche per il
permesso di soggiorno; ed è in tal senso che nella piattaforma sono previsti:
tempi compensativi, la possibilità di accumulo di permessi e straordinari
attraverso il pieno utilizzo della “Banca delle ore”, così come la
possibilità di accumulo delle ferie e di tempi compensativi finalizzati ad un
maggior agio per il ricongiungimento famigliare. In
sintesi bisognerà prevedere la possibilità di accumulo di: par, straordinari e
ferie, tutti quegli strumenti che consentono un tempo dedicato e finalizzato.
Per quanto attiene al problema serissimo della casa, ci proponiamo di
responsabilizzare i datori di lavoro, e, in questo senso va rivendicato un
impegno di Federmeccanica. Abbiamo
verificato che ci sono diverse esperienze nei territori, che andrebbero
utilizzate virtuosamente e, soprattutto messe in rete come ad esempio: la
costituzione di consorzi di imprese; versamento
di oneri indiretti per la costituzione di casse o fondi finalizzate al sostegno
per l’affitto o per l’acquisto della casa; la
banca degli spazi (case affittabili); rete
di garanti per l’affitto. Queste
sono esperienze che già si stanno producendo in alcuni territori. Tali
questioni, però, è necessario evitare di farle diventare un ulteriore problema
di conflitto tra le lavoratrici e i lavoratori, perché la casa è una questione
che interessa più in generale tutte le lavoratrici e i lavoratori, le cittadine
e i cittadini italiani. Ma in questo caso c’è un valore aggiunto, un problema
di inaffidabilità: la casa non viene data in affitto. E’ questo è un
problema molto serio. Dovremo
anche noi farci carico che nella contrattazione territoriale siano raccolte le
istanze delle lavoratrici e lavoratori migranti, specie per quanto attiene alla
politica della casa, nel rapporto con le istituzioni, con i consorzi di aziende
per l’utilizzo di aree disponibili, e con le cooperative edilizie che operano
in regime di Legge 167. Sarà
necessario che nella contrattazione territoriale entrino a far parte
diffusamente le istanze delle e degli immigrati, per esempio per quanto attiene
alle politiche della casa, nel rapporto con le istituzioni e con le cooperative
che operano in regime di Legge 167. Sono
ancora diffusi i problemi di erogazione e preparazione dei pasti. Infatti non
solo vi è un problema di tipologie di alimenti ma anche di modalità con cui
vengono preparati, specialmente per quanto attiene al trattamento delle carni. Questo
aspetto, peraltro, costituisce più una presa in carico del problema che non di
una questione di costi, ed è un’altra delle richieste della piattaforma. C’è
una questione generale, che non riguarda solo la Fiom ma più in generale il
sindacato, che attiene ai contributi da riversare nel paese di origine, sono
ancora molti i paesi con cui non ci sono accordi. C’è
stato segnalato un fenomeno sul quale prestare attenzione, ci sarebbe un
pullulare di cooperative, gestite da immigrati stessi, che trattano
l’intermediazione di manodopera in cui si verificano da un lato, livelli di
sfruttamento inaccettabili, dall’altro, fenomeni di illegalità; sarà utile
vigilare su questi fenomeni, così come a fronte della ripresa di atti di
violenza contro gli e lo immigrate, ci sarà bisogno certamente della nostra
solidarietà, ma anche di azioni concrete che prevengano tali manifestazioni. E’
stata ribadita da tutti la necessità che le politiche che si scelgono per
queste lavoratrici e lavoratori possano rappresentare un’opportunità di
miglioramento per tutti, ed in questo senso le lavoratrici e i lavoratori
immigrati rappresentano anche per noi una risorsa positiva. Concludo
questa relazione dicendo che così come noi siamo tutti per una scuola che sia
di tutti e non per la scuola di fedi religiose, che quindi divide la società,
siamo anche per un sindacato che sia di tutte e tutti e siamo per non
costringere le lavoratrici e i lavoratori migranti a trovare proprie forme di
rappresentanza. Questa
è una sfida vera, non ce la caviamo con questa assemblea, ma forse avviando
proprio un anuova pratica politica, una capacità di interrelazione tra i
soggetti, una sfida che muoviamo al nostro interno, ma soprattutto una ricerca
di relazione nei posti di lavoro perché l’accoglienza, la conoscenza, la
curiosità, la capacità di comprendere che cosa è l’altra e l’altro tuo
compagno/a di lavoro, possa essere un lavoro efficace verso il quale noi
cominciamo a dedicarci. |