Mustapha, Fiom Bologna

 

Io penso che per la prima volta, e come prima categoria, la Fiom abbia fatto una scelta politica ben precisa avviando una discussione su un tema molto delicato.

Questo incontro di oggi avviene in un clima, come sappiamo tutti, molto preoccupante, che segnerà la storia del paese. Da mesi noi siamo in campo contro le scelte dei padroni e del governo che si scambiano, a volte, i ruoli nel tentare di mettere la nostra organizzazione fuori dalla possibilità di contrattare le questioni che riguardano i lavoratori, proponendo in cambio di smantellare il sistema sociale e anche cambiare tutte le relazioni industriali.

Non è una novità, ma è cresciuto in modo esponenziale, soprattutto dopo il terremoto politico del 13 maggio 2001 e il “balletto” di Parma dell’aprile 2001.

Come ci è noto il nostro sistema industriale da quando è in atto si è sviluppato e ha cercato di legittimare sempre di più la filosofia del dominio assoluto dell’impresa, mettendola al centro di tutto.

Il tema di oggi, l’immigrazione, non è isolato da tutte le altre tematiche perché la presenza degli immigrati è al centro della trasformazione della nostra società. Evidenziato da certi elementi di quadro che possiamo riassumere in una crescita demografica degli immigrati, nelle assunzioni che sappiamo a volte essere 1 su 4 o addirittura 1 su 2, nella sicurezza che a volte viene collegata con il fenomeno dell’immigrazione, mettendo in risalto segnali di intolleranza, nelle posizioni Inps che, sappiamo benissimo, hanno superato le 600.000, senza contare quelle dell’ultima sanatoria.

Questi dati ci indicano che questa non è una questione marginale ma centrale e non ha un carattere emergenziale ma strutturale. Questa situazione impone alla nostra organizzazione di valutare chiaramente quello che è accaduto e quello che accade per sviluppare un’azione strategica capace di affrontare la sfida di un percorso verso una società multiculturale.

Nel recente passato la nostra organizzazione ha partecipato a un tentativo di svolta del sistema giuridico e politico del paese su questo tema accogliendo la Legge 40/98 che ha recepito la convenzione internazionale di cui l’Italia è firmataria e le direttive dell’Ue sulla materia. Una Legge che nel suo regolamento di attuazione è stata chiara, ma che nell’applicazione concreta ha posto condizioni che hanno evidenziato a volte la negazione del diritto stesso, e questo l’abbiamo registrato in una modalità che noi sappiamo benissimo: il rinnovo dei permessi, la scarsa funzionalità degli uffici periferici preposti all’applicazione, la non istituzione degli osservatori sulla discriminazione recepita dal Trattato di Maastricht nell’articolo 13, la difficoltà di accesso agli albi professionali, la difficoltà del riconoscimento del titolo di studio, la difficoltà di ottenere la carta di soggiorno – questo con una circolare del 4 aprile 2001, governo di centrosinistra, che affermava che un lavoratore senza contratto a tempo indeterminato non poteva usufruire di questo diritto e di tanti altri punti; quindi non è questione di uno o l’altro schieramento ma è un problema molto profondo.

Ma questo elenco, che chiudo qui perché è molto lungo, può essere considerato storia, perché in questi ultimi mesi, come sappiamo, è entrata in vigore un'altra legge che contraddice alcuni articoli della Costituzione - l’articolo 13 sulla libertà delle persone, l’articolo 35 sul principio di uguaglianza, ecc. - e che non so come possa averla sottoscritta il presidente della Repubblica, che della Costituzione è il garante. Questa legge, che noi abbiamo giudicato xenofoba e razzista, mette l’Italia fuori dall’Europa perché contraddice anche le convenzioni internazionali che ho citato prima.

In termini demografici l’Italia, da qui al 2025, vedrà la sua popolazione scendere di 4,8 milioni di persone che sono nella fascia produttrice, tra i 15 e i 65 anni, e se si vuole risolvere questo problema devono affluire  nel mercato del lavoro almeno 200.000 persone all’anno; quindi è necessario produrre strumenti legislativi che possono rispondere a questa esigenza. A me pare che si sta facendo il contrario, io penso che la bozza di piattaforma che abbiamo varato lo scorso 31 ottobre sia per un contratto acquisitivo che proponga esattamente il contrario di quello che si affaccia come impostazione del governo e dei padroni. Basta pensare alla rivendicazione che il contratto a tempo indeterminato torni al centro del rapporto di lavoro. La modifica dell’inquadramento, il diritto alla formazione, la nuova normativa sulla malattia, l’aumento salariale di 8 punti per il recupero del potere d’acquisto e il riconoscimento della partecipazione del lavoratore alla ricchezza dell’impresa, le ferie allungate usando la banca ore e i permessi per i lavoratori immigrati. A me poi non piace dire “immigrati”, mi piace dire “nuovi cittadini” perché ormai siamo qui quindi facciamo parte di questa società.

Questo contratto, secondo me, è un assalto ben preciso alla legge Bossi-Fini, perché il contratto a tempo indeterminato dà la possibilità al lavoratore di rimanere in Italia. Io penso che il nostro impegno è notevole nel portare a casa questo contratto perché è una svolta nello scenario che abbiamo davanti in questo momento. Penso anche che sul tema dell’immigrazione bisogna passare da una democrazia formale a una sostanziale dove l’immigrato viene valorizzato nella società, cercando di trovare un equilibrio tra domanda e eguaglianza attraverso un patto vero, sociale e politico tra gli immigrati e gli italiani, cioè ragionando non con “noi” immigrati e “voi” italiani ma con un solo “noi”, dando la possibilità di usufruire di diritti politici, passivi e attivi, come il diritto di voto, così l’immigrato si sente parte integrante della società italiana, e che noi vogliamo coesa, democratica e solidale, altrimenti, nel caso contrario, l’Italia avrà l’immigrato che merita.