Claudio Treves – Cgil nazionale

A nome della Cgil, volevo naturalmente esprimere il sostegno alla battaglia che la Fiom sta conducendo, sia sul piano della lotta per i diritti e la democrazia, sia anche per le questioni che quest’assemblea sta affrontando, e che sono state – diciamo così – esemplarmente illustrate da Rosy Rinaldi.

Volevo sottolineare che anche rispetto agli accenti pessimisti che sono stati presenti in molti vostri interventi, il fatto di porre come categoria le questioni dell’uguaglianza e delle specificità, in occasione dei rinnovi contrattuali, è segno che stiamo passando – con tutte le fatiche e le complicazioni – dalla prima alla seconda fase del processo di immigrazione: cioè stiamo passando da un momento in cui fondamentale era soprattutto l’accoglienza – e chiaramente continua a esserlo – a una fase in cui stiamo ragionando sulle modalità di integrazione. E questo è, credo, un compito importante, che il sindacato nel suo complesso deve affrontare. Da questo punto di vista è giusta l’impostazione che avete posto alla base della vostra assemblea, e cioè nei rinnovi contrattuali – cioè nell’attività quotidiana dell’organizzazione sindacale – si pone un problema di come si integrano anche esigenze diverse – su questo tornerò tra un secondo – e ovviamente questo non toglie, ci mancherebbe, tutta l’iniziativa e la battaglia che noi dobbiamo fare per quanto riguarda le condizioni minimali di esistenza del progetto migratorio. A cominciare dalla casa, a cominciare dal rispetto dei diritti.

Consentitemi una battuta: io ho molto apprezzato Giorgio Cremaschi quando ha esordito questa mattina chiedendo scusa ai cittadini di fede islamica perché si faceva la riunione durante il ramadan, e questo obbligava a fare una scelta; io sono di fede ebraica – ovviamente non sono credente – e voglio dire che questo è un punto che riguarda non solo lavoratori, o persone, che per il colore della pelle o per la provenienza della loro nascita sono non italiani, ma riguarda anche persone italiane, che sono bianche di carnagione, ma che hanno diversità.

Allora questo significa che anche noi dobbiamo – e apposta il sindaco Gentilini queste cose non le capirà mai – provare a sforzarci e approfondire ancora il concetto di eguaglianza e il concetto di diversità. Perché noi dobbiamo essere uguali nei diritti, ma dobbiamo essere – nello stesso tempo – rispettosi delle diversità. Vi cito ancora una volta l’ultimo compagno che è intervenuto e che ha citato la Rivoluzione francese: nei lavori della convenzione – che è una fase alta e progressista della Rivoluzione francese – ci fu un deputato che disse, sempre parlando di ebrei: “Agli ebrei tutto come individui, agli ebrei nulla come comunità”. Badate, io non dico se avesse ragione o se avesse torto, ma il tema di conciliare l’universalità dei diritti e il rispetto delle specificità è un problema molto complicato, sul quale io non credo che possiamo dire di essere noi riusciti a trovare un equilibrio che possiamo spiegare al mondo, ma che insieme abbiamo ancora molte cose su cui continuare a ragionare. Una per tutte, e la dico perché è materia di classico intervento sindacale, è appunto la questione dell’orario: perché se vogliamo essere “rispettosi dei diritti e attenti alle specificità” – e lo dico agli italiani soprattutto – il problema che la domenica è un giorno un po’ particolare, e quindi deve essere pagato di più e che bisogna dire che ci si può andare volontariamente e previo accordo eccetera, attenzione, comincia a essere un po’ rischioso sostenerlo; proprio perché devi mettere in equilibrio diritti che se riconosci poi devono trovare appunto compensazioni e risoluzioni collettive. Dico che questo è un tema sul quale dobbiamo cominciare a riflettere, non dico che è un problema che abbiamo risolto.

Intanto è importante che una piattaforma di una categoria così importante nel panorama degli equilibri sociali italiani – come la vostra – abbia posto il tema, ad esempio, dell’uso intelligente dei permessi e dei congedi o dell’uso intelligente delle ferie rispetto alle specificità della vostra condizione.

Vi faccio una segnalazione di rischi molto rilevanti, che soprattutto nei confronti dei lavoratori immigrati si pongono non solo e non tanto sulla questione della Bossi-Fini, ma sul dibattito che è praticamente agli sgoccioli su una cosa che si chiama “delega sul lavoro”.

Vi faccio tre esempi e ve li faccio a raffica, nel senso che non ci dedico troppo spazio. Sostanzialmente questa legge, una volta che sarà approvata, rende molto più facile – mettiamola così – da parte di un’impresa fare tre operazioni: terziarizzare, esternalizzare e appaltare. Senza star troppo a guardare se ci sono garanzie e correttezza. E’ evidente che questo, nei confronti di popolazioni più deboli, può diventare un’ulteriore arma di ricatto.

Seconda questione: questa legge introdurrà in Italia forme assolutamente incredibili di rapporto di lavoro: il lavoro a chiamata, il lavoro occasionale, il lavoro virtuale – perché si paga probabilmente con i voucher, con cui uno probabilmente passando dal tabaccaio ritira il proprio stipendio, queste  sono delle simpatiche bizzarrie che la mente politica di quelli che poi votano il sindaco Gentilini producono – ed è evidente che nei confronti dei lavoratori immigrati queste saranno forme di lavoro aggiuntive, che verranno offerte e privilegiate. E per l’effetto che diceva prima il compagno – che mi pare fosse dell’Emilia-Romagna – cioè delle “scatole cinesi”, cioè a maggiore precarietà corrisponde maggiore paura di quelli, casomai italiani dell’ultima fila, che si vedono sotto, minacciati potenzialmente da gente che accetta condizioni per gli italiani inaccettabili. E via di questo passo.

Quindi io credo che la Cgil, oltre che la Fiom, abbia bisogno in tutti i suoi punti di direzione, di comprendere esattamente qual è il disegno che le forze di governo e di maggioranza hanno attrezzato nei dettagli – perché è anche dai dettagli che si comprende che tipo di scenario avremo di fronte – e attrezzarsi per una battaglia lunga e, diciamo così, difficile – e lo sottolineo tre volte.

Battaglia difficile nel Parlamento, ma soprattutto nel paese e ai tavoli contrattuali, perché questi problemi vengano affrontati e possibilmente risolti.

Ultima questione: noi abbiamo una scadenza importante davanti, ed è il lavoro della convenzione europea che deve dare all’Europa una costituzione. Quello è il contesto e la sede nella quale proseguire e a quella scadenza traguardare la battaglia che abbiamo condotto sulla Bossi-Fini e che continuiamo a fare sugli effetti perversi della Bossi-Fini. A cominciare da un punto che io credo che sia intrinseco di civiltà e che scardina il concetto di immigrato come semplice forza lavoro, che è quello dei ricongiungimenti familiari. Perché nel momento in cui io considero e rendo possibile il ricongiungimento familiare, io ho ammesso che quel lavoratore che viene qui in Italia da un altro paese, è – come diceva prima Rosy e sono d’accordo con lei – un portatore di diritti e di progetto, e non semplicemente una forza da usare e poi spremere e buttare quando non serve più.