Presentazione dell'osservatorio sull’industria metalmeccanica n.10, ottobre 2003

Oggi 29 ottobre, durante la conferenza stampa tenutasi nella sede di Roma della Fiom nazionale, è stata esposta l'indagine contenuta nell'Osservatorio economico sull'industria metalmeccanica dell'ottobre 2003, giunto al suo terzo anno di pubblicazione. Giorgio Cremaschi, segretario nazionale Fiom, e i curatori dell'Osservatorio, Giovanni Ferrante, responsabile dell'Ufficio economico della Fiom, e Paola Naddeo, di fronte ad alcuni giornalisti dei quotidiani nazionali e delle agenzie di stampa, hanno illustrato in sintesi le linee di andamento del sistema industriale internazionale dal 1996 ai primi sette mesi del 2003, la situazione del settore metalmeccanico, il sistema dell'occupazione e i dati, non certo positivi, sull'inflazione in Italia.

Economia internazionale e italiana

Il ciclo dell’economia internazionale mostra segnali di ripresa, ma questi si presentano in modo discordante a seconda delle aree. Ne sono protagonisti Usa e Cina (e le principali economie asiatiche) seguiti, più modestamente, dal Giappone.

Negli Stati Uniti la ripresa è stimolata anche dal ciclo elettorale che si è aperto: l’industria militare fa da traino ma l’insieme dell’attività manifatturiera stenta; i consumi sono incentivati da vantaggi fiscali e la competitività è sostenuta da un cambio del dollaro tenuto basso artificialmente.

Assai più difficile, per non dire statica, la situazione in Europa (previsione Pil 2003, secondo i dati del Fmi di settembre, + 0,5%; nel 2002 è stato dello +0,9%), che non appare in grado di avviare un processo di crescita endogeno, pressata dai vincoli di bilancio e dalla continua perdita di competitività.

Tutti i paesi europei hanno fatto registrare negli ultimi due anni un rallentamento della crescita. L’Italia (previsione Pil 2003, +0.4%) fa poco meglio della Germania (0.0%) e pressoché lo stesso della Francia (0,5%); meglio la GB con 1,7%.

L’Italia, secondo i dati di contabilità nazionale, resta dentro una congiuntura negativa che si protrae dal II trimestre del 2001. Nel II trimestre del 2003 la crescita è stata solo dello 0,3% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente.

Se formalmente la recessione in atto potrebbe definirsi contenuta, i motivi di forte preoccupazione risiedono sia nella lunghezza della stessa che nella mancanza di segnali credibili di svolta. I settori esposti alla concorrenza internazionale, quali l’industria, mostrano tassi di crescita negativi (industria in s.s. nel I trimestre 2003 –0,8%, nel II – 0,8%). Il livello delle esportazioni risulta calante (- 2,9% nel II trimestre 2003 rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, dato Istat Contabilità nazionale). Lo stesso vale per gli investimenti, che fanno registrare un andamento calante, ove si escluda il comparto delle costruzioni.

Nel settore metalmeccanico nel 2002 (dati contabilità nazionale) si è avuto un calo del valore aggiunto (al costo dei fattori a prezzi correnti). Dato particolarmente negativo se si confronta con il 2001 (1,3%) e con il 2000 (4,7%). Pesa sul risultato del settore la cattiva performance del comparto dei Mezzi di trasporto (-8,3%, sempre a prezzi correnti) e quello delle Macchine elettriche e apparecchiature ottiche (-2,3%).

I dati risultano peggiori se espressi a prezzi costanti.

Per il periodo più recente sono disponibili i dati Istat riferiti alla produzione industriale.

Il settore metalmeccanico, quindi, indica per i primi sette mesi del 2003 un decremento della produzione pari al 2,8%. Positivo il comparto Metalli e prodotti in metallo (0,5%), mentre quello delle Apparecchiature elettriche e di precisione fa registrare un -6,0%. Il calo è consistente anche per i Mezzi di trasporto (-5,3%). e in questo quadro negativo restano coinvolte anche le Macchine e apparecchi meccanici (-2,5%).

 

I prezzi

Sul fronte dei prezzi si sta ricreando un gap tra inflazione italiana e quella delle principali economie (2,8% dell’Italia, indice Ipca, contro il 2,0% dell’area euro). Il dato non sembra avere natura transitoria ed è divenuto lo strumento cui ricorrono soprattutto i settori non esposti alla concorrenza per trasferire sui prezzi gli aumenti dei costi senza subire perdite di quote di mercato.

Solo un settore nell’ultimo anno ha registrato una contrazione dei prezzi, quello delle comunicazioni (-1,4%), altrimenti l’indice generale dei prezzi si sarebbe posizionato sopra il 3,0% (dato che peraltro Eurostat già attribuisce all’Italia per il 2003).

Il Governo nel Dpef 2004-2007 ha rivisto il tasso di inflazione per il 2003 portandolo al 2,4% dall’1,4% fissato nel precedente Dpef. E’ però sufficiente notare che anche qualora l’indice dei prezzi si attestasse al livello registrato in agosto, ovvero restasse uguale a zero (in termini di tassi di variazione) nei rimanenti quattro mesi del 2003 (e non sarà così), l’inflazione non potrebbe scendere sotto il 2,5%, ovvero sopra l’ultimo tasso rivisto dal governo con evidente danno da parte dei consumatori.

 

Le retribuzioni

In tale quadro il perdurare di un’inflazione sostenuta non può essere attribuito alle retribuzioni, specie a quelle del manifatturiero e in particolare a quelle metalmeccaniche.

Il Fondo monetario internazionale (Fmi) conferma, nelle previsioni per il 2003, che l’Italia è il Paese, se si esclude il Giappone, nel quale i guadagni nel settore manifatturiero crescono meno (2,1% per l’Italia nelle retribuzioni orarie, contro una media europea del 3,2%, il 6,1% del Regno Unito, il 5,4% degli Usa). Anche in termini dinamici nel periodo 1997-2003 l’Italia è il Paese che registra la più bassa crescita delle retribuzioni orarie (12,3% contro il 19,9% della media euro e il 30,1% del Regno Unito).

Con riferimento al solo settore metalmeccanico, se si riprendono in considerazione i dati disponibili sulle retribuzioni contrattuali si vede come queste nei primi 7 mesi del 2003 sono cresciute a un tasso nettamente inferiore a quello dell’inflazione (1,3% contro 2,7%). E se è vero che gli aumenti derivanti dal rinnovo contrattuale (non firmato dalla Fiom) partono dal luglio 2003, resta che essi sono nettamente inferiori a quelli registrati nel manifatturiero (2,4%).

Ulteriori conferme provengono dalle rilevazioni relative alle retribuzioni di fatto provenienti dall’Indagine Inail più recente (2001), così come dagli indicatori del lavoro (Istat) nelle grandi imprese. Qui, nei primi 7 mesi del 2003, le retribuzioni lorde metalmeccaniche sono cresciute in media dell’1,7%, quindi meno dell’inflazione (anche se gli aumenti, come già ricordato, sono scattati subito dopo) e soprattutto sono cresciute dello 0,3% per gli operai e del 2,5% per impiegati e dirigenti.

Anche tornando indietro nel tempo (2001-2003) si possono vedere le difficoltà che hanno le retribuzioni operaie a tenere il passo con l’inflazione.

Rimanendo nel settore metalmeccanico, con riferimento al costo del lavoro, si può vedere come nei primi 6 mesi del 2003 questo sia cresciuto rispetto all’analogo periodo del 2002 a un tasso inferiore a quello delle retribuzioni lorde (ovvero 1,4% rispetto a 1,7%). Anche qui il dato mostra un andamento differenziato tra operai/apprendisti e impiegati/dirigenti.

Diverso l’andamento del costo del lavoro per unità di prodotto (clup) nel settore manifatturiero italiano che cresce nel 2003 dell’1,2% (più della media euro). Ciò è dovuto al fatto che nel Paese l’occupazione tiene nonostante un calo sensibile del tasso di crescita (deprimendo peraltro l’evoluzione della produttività).

 

L’occupazione

L’andamento dell’occupazione riveste in questa fase uno dei connotati più controversi. Nell’intera economia si registra (nel 3° trimestre del 2003 rispetto allo stesso periodo del 2002) un incremento di 200mila unità, fatto insolito, come si è detto, in una fase recessiva. Di questi la stragrande maggioranza risulta composta da lavoratori dipendenti e, a sua volta, i ¾ di questi da lavoratori permanenti a tempo pieno. Diversa la situazione nell’industria e in particolare in quella “in senso stretto” dove a partire dal ’99 il primo andamento positivo è stato quello del 2002 (+1,0%), ridottosi a luglio 2003 allo 0,5%. Mentre nella grande impresa metalmeccanica (dati Istat “Grande impresa”) gli andamenti appaiono nettamente negativi (-3,8% nel primo semestre 2003, al netto dalla C.I.), tanto più se scomposti (-4,5% per gli operai, -6,4 nel comparto dei Mezzi di trasporto). L’andamento negativo dell’occupazione nelle grandi imprese metalmeccaniche fa seguito a un ulteriore biennio negativo (-2,7 nel 2001, - 4,9 nel 2002).

Forte il ricorso alla Cassa integrazione. Da 28,5 ore ogni mille lavorate (del primo semestre 2002) si passa alle 36,7 del primo semestre di quest’anno. A livello dei singoli comparti la C.I. incide particolarmente nei Mezzi di trasporto (54,3 ore) e nelle Macchine elettriche (44,0).

Il tasso di occupazione sale (55,4%, media annua 2002, fonte Eurostat) restando però ben al di sotto della media europea (62,3%), mentre il tasso disoccupazione continua a scendere, migliorato, in termini di confronto, anche dal fatto che peggiorano i nostri partners europei. Da notare in particolare la differenza tra il tasso di occupazione femminile italiano (41,9%) e quello medio europeo (52,9).

 

Commercio estero e previsioni

Con riferimento al commercio estero, il primo semestre 2003 vede ridursi le esportazioni metalmeccaniche dell’1,6%, mentre le importazioni crescono dell’1,5%. Di conseguenza il saldo commerciale passa da un attivo di 5 mld. (1° sem. 2002), a uno di poco superiore ai 3. Il settore delle Macchine e apparecchi meccanici non è riuscito (come negli anni scorsi) a riportare in attivo il saldo commerciale dell’intera economia (-4,32 mld di €).

Un ultimo cenno meritano le previsioni. Mai come negli ultimi due anni abbiamo assistito a previsioni relative ai principali indicatori economici continuamente riviste al ribasso: ciò non solo testimonia di un peggioramento delle condizioni generali ma anche di un incapacità di prendere atto delle difficoltà crescenti e dell’urgenza di agire sui rimedi.