Intervista a Gianni Ferrante, responsabile dell’Ufficio economico della Fiom, in vista della presentazione del «4° Rapporto sull’industria metalmeccanica» e de «L’evoluzione dell’industria metalmeccanica nei censimenti del 1981, 1991 e 1996» a cura dell’Osservatorio nazionale Fim-Fiom-Uilm e Federmeccanica-Assistal.

 

Cos’è l’Osservatorio nazionale e quali sono i suoi compiti?

L’Osservatorio nazionale sull’industria metalmeccanica è uno strumento paritetico previsto dal contratto nazionale di lavoro in cui sono presenti Fim, Fiom e Uilm da un lato e Federmeccanica e Assistal dall’altro. Ha compiti di analisi e di approfondimento su materie che vanno dalla situazione economico-sociale dell’industria metalmeccanica a questioni più specifiche come, ad esempio, il monitoraggio sugli accordi relativi al premio di risultato.

L’Osservatorio si articola su tre livelli: nazionale, territoriale e aziendale. I Rapporti che verranno presentati il prossimo 11 giugno a Roma, presso il Cnel, sono a cura dell’Osservatorio nazionale.

 

Quali sono i contenuti delle due pubblicazioni che verranno presentate?

Il «4° Rapporto sull’industria metalmeccanica» (i precedenti tre sono rispettivamente del ‘93, ‘95 e ‘97) è costruito soprattutto su informazioni statistiche istituzionali e in parte anche sull’«Indagine annuale» svolta dalla Federmeccanica. Sono inoltre presenti dati finanziari tratti dalla Centrale dei bilanci.

Si tratta quindi di una raccolta di dati, accompagnata da un commento, che costituisce una base quantitativa condivisa dalle parti che la sottoscrivono. La sua funzione è anche quella di disporre di un set di dati ordinato e di diminuire un eventuale conflitto sulle cifre. E’ chiaro che l’interpretazione dei dati stessi viene lasciata agli autonomi interessi delle parti.

Il «Rapporto» presenta un ampio ventaglio di dati aggiornati al 2001 riguardanti la congiuntura, la struttura dell’industria metalmeccanica e il suo ruolo nell’economia nazionale, la dinamica produttiva, dando anche informazioni sull’occupazione e i dati di bilancio.

L’altro Rapporto, «L’evoluzione dell’industria metalmeccanica nei censimenti del 1981, 1991 e 1996» è invece una novità. Come dice il titolo stesso, offre uno sguardo di tipo strutturale sul cambiamento dell’industria metalmeccanica nel corso dei 16 anni che vanno dal 1981 al 1996. Quando disporremo dei dati provenienti dal Censimento 2001, aggiorneremo anche questo Rapporto.

Questo studio mette a disposizione una serie di dati che non sono presenti nell’altro «Rapporto». Qui è possibile vedere la crescita o il calo delle unità produttive metalmeccaniche, nonché le variazioni riferite agli addetti suddivise sia per comparti del settore metalmeccanico che per unità produttive divise per classi di ampiezza, che per aree geografiche e territori. E quest’ultima è forse la maggiore novità. Le informazioni suddivise per provincia e per regione costituiranno uno strumento che verrà messo a disposizione dei territori, i quali lo potranno utilizzare come base di lavoro, da arricchire con le loro valutazioni e le loro conoscenze, per approfondire i cambiamenti della struttura industriale in quel determinato territorio.

 

Possiamo avere qualche anticipazione dei risultati evidenziati da queste pubblicazioni?

Innanzitutto il «4° Rapporto sull’industria metalmeccanica» registra punti di forza e di fragilità del settore metalmeccanico. Il nostro settore infatti risente molto dell’andamento delle congiunture. A fronte di una congiuntura positiva (vedi, ad esempio, il 2000) appare tutto assolutamente brillante mentre a fronte di una negativa (è il caso del 2001) appare tutto quanto nero. La fragilità strutturale lo espone appunto agli andamenti delle congiunture economiche. Allo stesso tempo rimane un settore rilevante nell’economia nazionale. Oltre il 40% del valore aggiunto prodotto da tutto il settore manifatturiero proviene dall’industria metalmeccanica, il 46% circa delle esportazioni nazionali sono metalmeccaniche. Quindi a fronte di diversi indicatori il settore metalmeccanico mostra la rilevanza del suo peso nell’economia. Ed è un peso stabile, che non va diminuendo nel tempo, che mantiene la sua rilevanza nonostante i ritardi tecnologici e di sistema.

Sempre a proposito del 2001, va segnalato come, a fronte di una stazionarietà degli andamenti produttivi, il settore metalmeccanico abbia recuperato redditività tramite l’attività finanziaria. Si tratta di un aspetto che merita un approfondimento, nel senso che l’Italia e l’industria metalmeccanica hanno assolutamente bisogno di uno sviluppo degli strumenti finanziari, strumenti che devono essere indipendenti e trasparenti e non devono rispondere solo a logiche di speculazione, devono cioè tener conto delle ricadute sul sistema produttivo.

Per quanto riguarda la seconda ricerca – quella basata sui censimenti – uno degli elementi che balza in evidenza è la crescita della microimpresa, di realtà produttive comprese nella fascia da 1 a 5 dipendenti. La ricerca, essendo basata sui censimenti, registra oltre 100.000 imprese metalmeccaniche, quindi un universo più largo di quel panorama che noi solitamente siamo abituati a considerare. Noi solitamente consideriamo soprattutto la platea delle imprese medie e grandi. Qui invece abbiamo anche le microimprese. Oltretutto la ricerca esamina sia le unità produttive industriali che quelle artigianali. E a proposito di quest’ultime, colpisce il fatto che nell’81 coprivano il 20% di tutta l’industria metalmeccanica mentre nel 1996 sono salite al 30%, e di conseguenza la parte industriale del settore metalmeccanico è diminuita del 10%.

Questo lavoro, per come è costruito, non mette in evidenza se esista o meno una connessione fra queste unità produttive, quante di queste facciano parte dello stesso gruppo societario, se esista una connessione a rete. Il materiale offre comunque la possibilità di fare molti approfondimenti, sia comparto per comparto che regione per regione o provincia per provincia; si tratta quindi di un utile strumento di lavoro che potrà essere valorizzato a livello decentrato.

 

In questo periodo si parla molto di una parte del settore che è il comparto auto…

Guardando i dati Istat raccolti in questo «4° Rapporto» nella seconda metà degli anni Novanta e fino al 2001 il comparto dell’auto ha mostrato numerosi deficit. Se guardiamo il saldo della bilancia commerciale si può vedere come il contributo maggiore per quanto riguarda i comparti del settore metalmeccanico venga soprattutto dai comparti dei Prodotti in metallo e delle Macchine e apparecchi meccanici. La ricerca mette in evidenza come questo sia il «cuore» dell’industria metalmeccanica, sia in termini di produzione, che in termini di creazione di valore aggiunto, che in termini di esportazioni. Infatti se si guarda l’interscambio commerciale dei prodotti metalmeccanici, si vede che il contributo dei Mezzi di trasporto è stato negativo in tutti gli ultimi cinque anni e che in tutti gli anni Novanta solo il ‘94, ‘95 e ‘96 mostrano un segno positivo. Mentre il comparto delle Macchine e apparecchi meccanici ha presentato un saldo positivo di 58.700 miliardi nel 2000 e di 63.800 nel 2001, quello dei Mezzi di trasporto, negli stessi anni, ha riportato perdite rispettivamente per 9.500 e 15.000 miliardi. Quindi la situazione di difficoltà del comparto dell’auto è un problema presente da molti anni che va sanato con strumenti ben diversi dai licenziamenti.

 

A parte queste pubblicazioni quali altri strumenti hanno a disposizione gli «addetti ai lavori»?

I due strumenti richiamati forniscono alle strutture sindacali e agli studiosi un materiale utile che si aggiunge a quelli che tradizionalmente producono le parti sociali. In particolare la Fiom, che da oltre un anno pubblica un suo «Osservatorio sull’industria metalmeccanica», che ci pare abbia riscontrato un positivo gradimento da parte degli utenti; uno strumento che si basa sulle più aggiornate statistiche esistenti, che si arricchisce con informazioni provenienti da fonti statistiche un po’ sottovalutate – penso all’Inail, alle camere di commercio, all’Inps stessa che, pur non offrendo spesso dati aggiornati, tuttavia mette a disposizione dei dati reali, non campionari. Per esempio, se analizziamo l’Indagine Federmeccanica risulta che la percentuale di presenze femminili nel settore metalmeccanico è circa del 18%. Ma se guardiamo i dati  forniti dall’Inps vediamo che la presenza delle donne è superiore: oltre il 22%. Contiamo per il futuro di sviluppare – come abbiamo già cominciato a fare – la presenza di studi e approfondimenti che completino l’osservazione statistico-congiunturale.

Giugno 2002