Segnali e cifre del declino economico e industriale dell'Italia (Articolo di Gianni Ferrante, tratto da “il manifesto” del 20 febbraio 2003)
I principali Istituti di ricerca sono concordi nel prevedere una ripresa dell’attività economica nel 2003. Si oscilla tra una variazione del Pil dell’1,4% per il Centro studi Confindustria e per Prometeia e del 2,3% per il ministero dell’ Economia e per il Fmi. Valori modesti, rispetto ai quali i dubbi aumentano allorché si tratta si stabilire quando si realizzeranno: per i più ormai i benefici si vedranno solo nel II semestre. Esigui, per ora, i segnali positivi di un’inversione del ciclo, mentre pesano le continue revisioni al ribasso registrate nell’ultimo anno. Nel Dpef 2002-2006 (aprile), il governo confermava per il 2002 una crescita del 2,3%. A luglio questa veniva rivista e ridimensionata all’1,3%. Nella Relazione previsionale e programmatica di fine settembre, il tasso di crescita si situava sullo 0,6%. Come si sa, l’anno è stato chiuso con uno strisciante 0,4%. E’ vero che il carattere internazionale dell’attuale recessione ci tiene in buona compagnia: Germania 0,4, Francia 1,0%, media Euro 0,8%. Ma intanto si riaprono tra noi e gli altri paesi europei alcune distanze che erano state faticosamente colmate. Tra i paesi industrializzati siamo di nuovo in testa (2,5%) per quanto riguarda la dinamica dell’inflazione, mentre altri, pur segnati da forti difficoltà, fanno registrare risultati di segno opposto: la Germania dal 2,4% del 2001 passa all’1,3%; il Regno Unito dall’1,8 all’1,5%; gli Stati Uniti dal 2,8 all’1,5%; la media Euro scende dal 2,4 al 2,2%. E – come si ricorda nell’ultimo fascicolo de l”Osservatorio sull’industria metalmeccanica” (n.8, febbraio ’03), curato dall’Ufficio economico della Fiom- Cgil - la causa della nostra cattiva performance sui prezzi non sembra tanto da attribuirsi a un rincaro dei prezzi alla produzione (-0,3% nella media dei primi 11 mesi del 2002), quanto a comportamenti opportunistici legati all’introduzione dell’euro, specie nel settore al dettaglio. Tant’è che Confindustria (“Previsioni macroeconomiche”, settembre ’02) ha avuto modo di rilevare come alcuni beni di largo consumo avessero fatto registrare aumenti ben superiori al 4%. E dalla prospettiva di una guerra contro l’Iraq non se ne ricavano certo segnali economici incoraggianti. Nella simulazione proposta dal ref. di Milano di uno scenario di guerra “veloce”, per esempio, i principali indicatori non sembrano risentirne eccessivamente, se si escludono i prezzi al consumo (2,4% per il 2003 e 2,1% per il 2004). Ben diverso lo scenario nel caso di una guerra prolungata (andamento negativo di tutti i principali indicatori, petrolio intorno ai 50$ al barile e inflazione attorno al 3,5%). In termini di consuntivo 2002, l”Osservatorio” evidenzia una contrazione della produzione dell’industria metalmeccanica pari al 4,5%, che si va ad aggiungere al –3% del 2001. Un calo che seppur in modo differenziato interessa tutti i comparti del settore. da –0,3 di Macchine apparecchi meccanici a -7,4% per i Mezzi di trasporto. Forte l’aumento del ricorso alla Cassa integrazione guadagni (ordinaria e straordinaria): +48,5% nei primi 8 mesi (che si aggiunge al +17,5% del 2001). Il basso profilo della produzione peraltro potrebbe non essere dipeso solo dal debole andamento della domanda proveniente dalle imprese nazionali, ma da un alleggerimento dei magazzini, vista l’incertezza della fase: quindi, una ripresa potrebbe essere favorita dal ripristino delle scorte. Ma a conferma della più generale negativa performance del settore, sta una riduzione consistente delle esportazioni e delle importazioni. Essendo però più marcato il calo delle importazioni rispetto all’export, ciò ha permesso di ottenere un miglioramento dei saldi. E, si noti bene, ancora una volta, come è già accaduto negli anni recenti, è il disavanzo positivo del settore metalmeccanico a determinare quello dell’intera economia! E nell’ambito del metalmeccanico è il comparto delle Macchine e apparecchi meccanici (vale a dire beni strumentali ed elettrodomestici) a determinare il saldo positivo: 27 miliardi circa di euro nei primi dieci mesi del 2002; mentre il saldo dell’intero settore metalmeccanico invece ammonta a circa 10 mld di euro e quello dell’intera economia a circa 8,3 mld di euro. Da notare che il saldo commerciale del comparto dei Mezzi di trasporto risulta negativo dal ’97 ad oggi. Sull’occupazione occorre rilevare come per il 2002 si registri il paradosso di un risultato per l’intera economia italiana migliore di quello degli altri paesi industrializzati (dato Ocse), nonostante la debole dinamica del tasso di crescita del Pil (0,2%) nei primi tre trimestri del 2002. Il paradosso trova forse una spiegazione nell’adozione negli ultimi anni di diversi strumenti di flessibilità (lavoro interinale, a tempo determinato, co.co.co), nella moderazione salariale che ha reso più conveniente l’impiego di manodopera, negli incentivi all’occupazione per le imprese. Bisognerà allora interrogarsi sul grado di tenuta di questa nuova occupazione e se questa, come molti segnali testimoniano, non abbia già esaurito la forza propulsiva messa in azione dagli strumenti richiamati, cominciando a risentire, seppure in ritardo, della stagnazione dell’economia. Molto diversa la situazione dell’occupazione nel settore metalmeccanico (fonte: Istat, grandi imprese): -4,1% nei primi 10 mesi del 2002 e –5,9% se si considerano solo gli operai. In testa alla graduatoria i Mezzi di trasporto con –7,0%. Dal quadro descritto manca un richiamo alle retribuzioni. Come si ricorda nell’”Osservatorio”, quelle contrattuali per dipendente fanno registrare nel 2002 +3,2, una variazione un po’ più alta dell’inflazione (2,5%): da notare che la media annua risente eccezionalmente dell’erogazione di due tranches del precedente contratto (luglio 2001 e marzo 2002): infatti dopo marzo il tasso di aumento medio tende a ridursi. Inoltre, l’aumento citato fa seguito a due anni in cui le retribuzioni contrattuali erano rimaste al di sotto dell’inflazione (2001, 2,2% contro 2,7%; 2000, 2,3% contro 2,5%). Infine va ricordato che le retribuzioni medie nascondono dinamiche assai diverse per livello di inquadramento. Se, ad esempio, si prendono le retribuzioni lorde nelle imprese con oltre 500 addetti, queste crescono del 2,9% nei primi 10 mesi, ma per operai e apprendisti solo del 2,3%. Gianni
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