Gli altri crescono, l'Italia sta a guardare

(Articolo di Gianni Ferrante, tratto da “Rassegna sindacale” n. 41, 6 novembre 2003)

 

L’Europa guarda i paesi che hanno ripreso la via dello sviluppo dopo oltre due anni difficili. L’economia americana si avvia a chiudere il 2003 con una crescita appena al di sotto del 3,0%, anche se non mancano segnali preoccupanti come il forte aumento delle spese militari, il dollaro debole, il settore manifatturiero ancora stagnante, la crescita dei consumi segnata da un forte indebitamento privato che si va ad aggiungere a quello pubblico.

Dal Giappone finalmente sorprese positive, sia per la domanda interna che per le esportazioni. Per la Cina siamo al boom: +9,1% di aumento del Pil per il III trimestre 2003.

L’area euro invece nel 2003 ha ristagnato. L’Fmi stima una crescita dello 0,5% e tutti i paesi, tranne l ‘Italia (che resta allo 0,4%), hanno fatto registrare una contrazione nel ritmo di crescita nel corso degli ultimi due anni. I risultati migliori nei maggiori paesi extraeuropei fanno pensare che la debolezza dell’area euro non sia tutta ascrivibile al cattivo andamento della domanda internazionale: che abbia giocato negativamente l’apprezzamento del tasso di cambio, ma anche i ritardi in termini di innovazione, nonché gli effetti che sui consumi ha avuto il deterioramento del mercato del lavoro ( rischi di disoccupazione e precarizzazione).

L’Italia nel 2003 non ha fatto peggio dei principali concorrenti europei. Ma i malanni di una lunga congiuntura recente si sono aggiunti ai ritardi strutturali. I settori esposti alla concorrenza internazionale – come ricorda l”Osservatorio sull’industria metalmeccanica”, n.10, ottobre ’03 – quali l’industria, fanno rilevare tassi di crescita negativi, le esportazioni indicano –2,9% nel secondo trimestre 2003 e anche gli investimenti risultano in calo.

L’esito concreto di questa situazione è riassumibile nei dati della bilancia commerciale. Dopo molti anni di attivo commerciale, il primo semestre ’03 si è chiuso con un disavanzo di oltre 4 miliardi di €. Nell’ambito del settore metalmeccanico - che esporta circa il 49% del proprio prodotto - questa situazione ha comportato una flessione da un attivo di circa 5 mld di € (I sem. ’02) a uno di circa 3 (I semestre ’03). Neanche il contributo del comparto Macchine e apparecchi meccanici (ovvero i Beni strumentali, compresi macchine utensili ed elettrodomestici) è riuscito a riportare in attivo (come è avvenuto spesso negli ultimi anni) il saldo della bilancia commerciale dell’intera economia.

Forte è stato in questi anni , come si rileva dall’Osservatorio, l’intervento del sistema delle imprese italiane sulla variabile che più sembrano poter condizionare, il costo del lavoro, ai fini di un riequilibrio di competitività.

Citando il vice direttore della Banca d’Italia, Pierluigi Ciocca, in un recente lavoro,”da un lato si sono affermati nuovi partners commerciali propensi a esportare beni di consumo che l’Italia produce e a importare beni capitali che l’Italia non produce. Dall’altro lato si sono rafforzate economie, come quella degli Usa, inclini all’offerta di prodotti caratterizzati da economie di scala, R&S, innovazione. Il modello di specializzazione dell’Italia è divenuto vulnerabile dall’alto e dal basso”.

In termini di retribuzioni (orarie) nel settore manifatturiero le previsioni Fmi per il 2003 confermano che l ‘Italia – a eccezione del Giappone – è il paese nel quale i guadagni nominali crescono meno: 2,1% contro la media del 3,2% dell’area euro. Anche misurando il periodo 1997-2003 il dato resta confermato: 12,3% nel periodo per l’Italia, contro il 19,9 della media euro (30,1% nel Regno Unito).

In conclusione, se la dinamica delle retribuzioni risulta - come si deduce ormai da una quantità di fonti autorevoli – secondaria nelle determinanti del ritardo del Paese (e se l’occupazione ha ormai terminato la sua spinta) e se l’analisi conferma che per rilanciare la competitività le priorità sono altrove, occorre chiedersi: qual è la sede in cui dare corpo alle proposte per il rilancio della politica industriale? Il tentativo recente fatto con il Patto per lo sviluppo, finora disatteso dal governo – può essere rilanciato?