Industria metalmeccanica. I dati sul 2004 dell'Osservatorio Fiom

Articolo di Gianni Ferrante, tratto da “Rassegna sindacale” n. 12, 31 marzo / 6 aprile 2005

 

Le cronache testimoniano ormai ogni giorno dello stato di difficoltà del settore manifatturiero. In giro per l’Italia, a contatto con i lavoratori, le cifre sulle crisi diventano fatti concreti, nomi e storie di aziende, persone, drammi che riempiono una casistica crescente di dismissioni e fallimenti di strutture produttive.

Il segnale d’allarme dura ormai da oltre tre anni.Ciò nonostante il settore metalmeccanico resta il principale comparto dell’industria, realizzandone un po’ più del 40% di valore aggiunto. Un dato strutturale importante controbilanciato però – a livello congiunturale - dal fatto che nei primi tre trimestri del 2004 la crescita del valore aggiunto del settore metalmeccanico (2,3%) è diminuita rispetto al 2003 ed è stata inferiore a quella dei servizi (4,2%) e a quella dell’intero settore industriale (2,8%). Anche in questo caso ci si trova di fronte a un dato di tipo strutturale, ovvero a una situazione che risente del dualismo esistente tra settori esposti alla concorrenza internazionale e settori “protetti”.Quest’ultimi sono spesso fornitori di imprese che devono concorrere a livello internazionale e queste, a loro volta, ne pagano le conseguenze in termini di svantaggi competitivi.

Sono questi i primi rilievi presenti nel fascicolo n.14 dell’”Osservatorio sull’industria metalmeccanica”, promosso dall’Ufficio economico della Fiom nazionale.

L’insoddisfacente andamento del settore metalmeccanico lungo il 2004 (ma è il terzo anno consecutivo negativo) è conseguenza dell’andamento diverso dei principali comparti che lo compongono. Da un lato quelli dei “Metalli e prodotti in metallo” (siderurgia e lavorati) e le “Macchine e apparecchi meccanici” (beni strumentali), comparti che crescono rispetto al 2003 (+2,1% nei primi 11 mesi il primo e +0,6% il secondo). Dall’altro i comparti delle “Macchine elettriche e ottiche” (- 3,8%) e “Mezzi di trasporto” (-0,2%) che subiscono contrazioni produttive.

A questi dati nel complesso insoddisfacenti si aggiunge una relativa crescita dei prezzi alla produzione (+4,4% in ragione d’anno), concentrata soprattutto nel comparto dei Metalli (11,5%) e in misura minore nei Mezzi di trasporto (1,9%).

Interessanti anche i dati su retribuzioni e del costo del lavoro, tanto più visto che siamo in presenza del rinnovo del biennio economico del contratto della categoria.

Nel 2004 gli stipendi sono cresciuti mediamente del 3,3%, più dell’inflazione che è del 2,2%. Tale dato va però letto alla luce dell’andamento peculiare delle retribuzioni contrattuali che procedono a scalini: un andamento piatto per un periodo più o meno lungo e una scatto in alto nel momento in cui vengono erogati gli aumenti stabiliti dai rinnovi. L’andamento ciclico fa si che le retribuzioni recuperino ex post la perdita di potere d’acquisto, contribuendo a finanziare il datore di lavoro.

Pertanto, il periodo minimo per un’osservazione corretta dell’andamento delle retribuzioni dovrebbe essere quanto meno un biennio.

L’Osservatorio confronta l’andamento delle retribuzioni contrattuali nel periodo 2000-2004 con quello dell’inflazione. Se ne ricava un minimo vantaggio delle prime rispetto alla seconda: ma se si distingue tra impiegati ed operai, si vede come i primi recuperino rispetto all’inflazione un po’ meno di un punto percentuale nell’intero periodo, mentre gli operai recuperano a mala pena l’inflazione (perdono un decimo di punto).

Questa divaricazione viene confermata dall’andamento nello stesso periodo delle retribuzioni lorde nelle grandi imprese (comprensive di contrattazione di secondo livello). Come si vede dalla figura riportata, le retribuzioni degli operai aumentano complessivamente meno dell’inflazione: fatto uguale a 100 il 2000 l’indice dei prezzi al consumo sale nel 2004 del 10,4% mentre quello delle retribuzioni del 9,5%.

L’Osservatorio prende poi in esame i dati forniti dall’Ufficio statistiche del lavoro (Bls) degli Usa relativamente al costo del lavoro per ora lavorata nel settore metalmeccanico in diversi paesi. Prendendo in esame l’arco di tempo tra il 1995-’02, si ricava come il costo del lavoro sia significativamente più basso in Italia che in molti altri paesi industrializzati. Fatta uguale a100 l’Italia, nel 2002, si ha111 per la Francia ,169 per la Germania , 149 per gli Usa, 130 per il Giappone e 82 per la Spagna.

Del resto, la grande maggioranza delle fonti più autorevoli confermano ormai la moderazione salariale degli ultimi anni e l’insufficiente recupero del potere d’acquisto dei lavoratori nei confronti della stessa inflazione.

 

Gianni Ferrante (Responsabile Ufficio economico Fiom)