| Rassegna
        stampa 12 ottobre 2005 Da
        «Liberazione»  Se  Nel
        sudest francese una ditta del Portogallo ha 100 operai con contratti
        portoghesi e 50 con contratti francesi. A Stoccolma un'impresa lettone
        non firma gli accordi svedesi  Di Andrea
        Milluzzi Un vecchio detto recita: fatta la legge, trovato l'inganno. A volte invece l'inganno è la legge stessa e non c'è neanche bisogno di aspettare che venga approvata per far pagare dazio ai deboli di turno. E' quanto sta succedendo in varie parti d'Europa con la direttiva Bolkestein e il suo principio del Paese d'origine che permette agli imprenditori di aggiudicarsi appalti lontani dai propri confini, continuando però ad osservare le leggi e i diritti del Paese di provenienza. Liberazione
        ha già scritto (marzo 2005) delle irregolarità in un cantiere delle
        olimpiadi invernali di Torino del 2006, dove una ditta rumena in sub
        appalto ha tenuto per due mesi i suoi operai a lavorare con uno
        stipendio di 260 euro per poi levare le tende prima che gli ispettori
        arrivassero a chiedere chiarimenti. Non è l'unico caso. In Francia a
        maggio scorso Le Monde riportava la storia di una ditta di 150 operai,
        dove 100 avevano un contratto portoghese e 50 francese, sebbene
        lavorassero tutti in territorio francese. Si trattava della Constructel,
        società di istallazione di pali e cavi telefonici che, ottenuto un
        appalto da France Telecom nel 2003 ha aperto cantieri nel sud est e nel
        centro della Francia, per poi ammettere, due anni dopo, che i suoi
        contratti erano una sorta di ibrido, con i lavoratori
        "portoghesi" costretti a lavorare fino a 60 ore alla
        settimana. Vero che guadagnavano fino a 1.500 euro al mese di stipendio,
        ma vuoi mettere... La vicenda ha sollevato un vero vespaio in Francia
        con France Telecom che assicurava: «Se capitasse che una società non
        rispettasse le normative di lavoro francesi gli si toglierebbe l'appalto»
        e Constructel che si difendeva: «E' tutto legale perché c'è la
        possibilità di avere un distacco di mezzi operativi da un Paese
        all'altro per un periodo di due anni. Quando termineranno trasferiremo i
        dipendenti sotto contratto francese», come dire: adottiamo sì  Qualche
        migliaio di chilometri verso Est ed eccoci in Svezia, teatro del primo
        sciopero contro  Tute
        blu d'Europa contro la precarietà. «Mina i contratti e i diritti»
         Conferenza
        Fem a Roma. Fiom: «Tempo indeterminato e no al principio del
        "paese d'origine"»  Di
        Fabio Sebastiani L'aumento
        della precarietà e dell'esternalizzazione mina la contrattazione
        collettiva.  Insomma, i metalmeccanici europei sembrano essersi accorti che il modello sociale europeo si difende a partire dai comportamenti concreti, ovvero guardando al mondo del lavoro e dell'impresa. E ciò è possibile solo se, per dirla con le parole del vicesegretario della Fem, Bart Samyn, aumenta parallelamente «la nostra reciproca solidarietà e la nostra volontà di essere ognuno di aiuto agli altri in occasione delle principali scadenze contrattuali». A dire il vero, una "regola di coordinamento salariale" è in vigore dal 1998 nell'ambito dell'azione sindacale della Fem, e dei sindacati che ne fanno parte (circa 65). La regola evidentemente ha bisogno di qualche intervento di manutenzione. Soprattutto in vista della minaccia Bolkestein. L'ambizione è alta, costruire cioè una rivendicazione contrattuale comune a tutte le organizzazioni di categoria della grande famiglia delle tute blu dell'Europa allargata. Alla conferenza sono intervenuti le organizzazioni sindacali di categoria di Italia, Romania, Danimarca, Svezia, Repubblica Ceca, Polonia, Bulgaria, Slovenia Gran Bretagna, Olanda, Finlandia, Belgio, Austria. Dalla conferenza è uscita una strategia basata su welfare, buona occupazione e formazione continua, diritti sindacali. Un segnale importante, che serve anche un po a "smitizzare" l'idea di un sindacato esclusivamente industriale, e che rilancia un piano d'azione all'indirizzo di Ue e stati nazionali. Alla
        Commissione europea e al Consiglio europeo  Di «assoluta necessità di costruire una pratica contrattuale comune a livello europeo» ha parlato nel suo intervento il segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini. «Per noi - ha detto - parlare di orientamento comune tra i sindacati europei dei metalmeccanici vuol dire scegliere quattro priorità: percorsi di trasformazione del lavoro precario in lavoro a tempo indeterminato; parità dei diritti e delle retribuzioni; cancellazione della direttiva Bolkestein che afferma il cosiddetto principio del paese d'origine e affermazione del principio secondo cui vanno applicate le disposizioni vigenti in materia di diritti del lavoro e di stato sociale proprie del paese in cui il lavoratore è stato eventualmente distaccato; revisione della Direttiva europea sugli orari di lavoro e conseguente sopressione delle ipotesi di deroga relativa ad accordi individuali fino a 65 ore settimanali». Da
        «il manifesto» La sfida europea dei meccanici A Roma delegati da tutta Europa, per una contrattazione collettiva di Sara
        Farolfi 
 Questa
        è la sfida stringente che i sindacati europei devono fronteggiare. Pur
        con tutte le differenze nazionali, cresce esponenzialmente il lavoro
        atipico, nella maggior parte dei casi precario. Il 22% della forza
        lavoro, oggi, ha contratti part time (spesso non per scelta volontaria);
        l'12,8% ha un contratto a termine. Un lavoratore su tre ha insomma un
        contratto precario. In
        Germania - ha detto un delegato dell'Ig Metall - sono aumentati i «colletti
        bianchi» e noi non siamo stati in grado di intercettarli. Spesso le
        imprese sono registrate come servizi - è intervenuto un delegato
        spagnolo - mentre continuano a far parte del settore produttivo. «Dobbiamo
        includere questi lavoratori nei nostri contratti collettivi», ha
        concluso. Da
        «rassegna.it» METALMeccanici,
        FEM CHEDE 5 GIORNI DI FORMAZIONE L'ANNO Il
        diritto individuale a un minimo di cinque giorni all’anno dedicati
        alla formazione per tutti i metalmeccanici europei: questa è la
        rivendicazione comune che entro i prossimi quattro anni dovrà essere
        inserita da tutti i sindacati aderenti alla Fem nelle proprie
        piattaforme contrattuali. Lo ha deciso la 5° Conferenza sulla
        contrattazione collettiva della Federazione europea metalmeccanici.
        “Una rivendicazione comune per un futuro comune”: questo lo slogan
        che campeggiava sulla parete retrostante al tavolo della Presidenza
        della Conferenza, i cui lavori si sono svolti a Roma, presso il Jolly
        Midas Hotel, dal 11 al 12 ottobre. “Definendo questa nostra prima
        rivendicazione comune, crediamo di aver posto una pietra miliare lungo
        il cammino dei sindacati europei.” Lo ha detto Peter Scherrer,
        segretario generale della Fem, in conclusione della Conferenza. Scherrer
        ha sottolineato che questa è la prima volta che un’organizzazione di
        categoria mette a punto a livello europeo una vera e propria
        rivendicazione contrattuale. “Speriamo che altre categorie possano
        fare delle scelte simili a quella che noi abbiamo fatto oggi assumendo
        una decisione che, nelle nostre intenzioni, dovrà costituire un punto
        di partenza per l’azione sindacale nel nostro Continente”, ha
        aggiunto Scherrer. “Oggi non esiste più quella che una volta era
        l’economia nazionale dei singoli Stati. Ai singoli mercati domestici
        si è ormai sostituita un’economia globale.” Lo ha detto Bart Samyn,
        vicesegretario generale della Fem, che ha poi aggiunto: “In questo
        nuovo contesto le imprese multinazionali giocano sui diversi tavoli
        nazionali la carta del dumping sociale, puntando a far arretrare i
        sindacati e a peggiorare le condizioni contrattuali e materiali del
        lavoro industriale.” “Noi – ha sottolineato Samyn - non possiamo
        accettare tutto questo. Ed è appunto questo il motivo per cui dobbiamo
        dare avvio a una nostra nuova azione contrattuale a livello europeo.
        Azione la cui prima tappa è costituita dalla rivendicazione che
        lanciamo con questa Conferenza.”  |