La politica industriale in un’Europa allargata

 

 

 

Presentata in una Conferenza pubblica a Bruxelles il 21.01.03 (presenti circa 400 persone) dalla Commissione europea la comunicazione su “La politica industriale in un’Europa allargata”.

Hanno tra gli altri partecipato ai lavori R. Prodi (presidente della Commissione europea; Akis Tsohatzopoulos, presidente del Consiglio europeo per la competitività; Erkki Liikanen, Commissario responsabile per le Imprese e l’ Information Technonlogy; Ignacio Fernandez Toxo, segretario generale della Federazione metallurgica delle Cc.Obreras.

 

Ripensamento critico da parte della Commissione. Dopo anni in cui molti avevano realizzato il convincimento che il motore della crescita risiedesse fuori dall’industria,ora i settori manifatturieri dovranno tornare a ricoprire il ruolo di protagonisti nell’economia europea.

Dopo anni in cui la politica industriale appariva quasi come un’entità negativa e si concepiva o la sola politica per l’impresa o, all’opposto, la politica industriale si disperdeva nella dimensione generale macroeconomica, ora la Commissione ritiene essenziale il rilancio della politica industriale intesa come insieme equilibrato di politica economica (indirizzi generali nell’impiego delle risorse disponibili, investimenti, infrastrutture), aspetti orizzontali (formazione, ricerca, politica per il commercio ecc.) e aspetti settoriali (misure a favore dei settori di maggiore rilevanza strategica, misure di tutela per i settori aggrediti da politiche protezionistiche o di dumping da parte di paesi extraeuropei).

Occorre – dice la Commissione – tenere conto dei bisogni e delle caratteristiche specifiche dei settori; la politica industriale deve quindi essere applicata in modo differenziato in funzione del settore, combinando così inevitabilmente una base orizzontale con delle applicazioni settoriali.

La Commissione europea, nel riconfermare gli obiettivi del summit di Lisbona e di Barcellona, ovvero fare dell’Europa l’area più forte in termini di produzioni qualificate e in termini di economia della conoscenza, nonché di sviluppo dell’occupazione, ritiene che lo scopo di una rinnovata politica industriale sia quello di rendere l’Europa maggiormente competitiva.

Rafforzare le potenzialità di sviluppo significa adottare un concetto un nuovo di sostenibilità da indirizzare sia verso l’economia (più ricerca, produzione di beni di alta qualità, sviluppo della piccola e media impresa), sia nel sociale (retribuzioni che sostengano i giovani nella scelta di lavorare nelle aziende), che verso l’ambiente.

Come ha ricordato Prodi, l’Unione europea si dovrà confrontare nei prossimi cinque anni in modo con nuovi paesi emergenti (a partire dalla Cina). Non è possibile affrontare questa sfida abbassando – come hanno fatto alcuni paesi europei – la spesa in R&S. Occorre aprire un dibattito ampio in tutte i paesi europei per rimettere in circolo queste priorità e questi temi.

Il sistema della piccola e media impresa è la spina dorsale dell’industria europea; ma non si può negare come la dimensione d’impresa sia ormai un requisito importante per competere nel sistema globale.

Si tratta nel complesso di un importante e positivo impegno assunto dalla Commissione, sia verso le istituzioni europee che nei confronti dei governi nazionali (oggi ancora detentori pressoché esclusivi delle decisioni di politica industriale).

L’apertura di una discussione sugli aspetti richiamati, se vuole raggiungere dei risultati, dovrà realizzare un rapporto più stretto tra i partner sociali e fra questi e le istituzioni europee. Tale rapporto dovrà vedere innanzitutto la piena applicazione (o il miglioramento là dove la questione è aperta) delle Direttive riguardanti la partecipazione e l‘informazione tempestiva dei lavoratori nei processi di cambiamento e ristrutturazione (a partire dalle multinazionali).

Un intervento sulla politica industriale che si collochi entro il modello sociale europeo voluto dalle organizzazioni sindacali, si basa anche sulla pratica di una sostenibilità democratica, ovvero lo sviluppo dei diritti dei lavoratori, nonché l’avanzamento del dibattito intorno alla “responsabilità sociale dell’ impresa”.

Non è possibile infatti pensare che il confronto tra le parti, a livello europeo, si esaurisca nel cosiddetto Dialogo sociale, ovvero in una pura pratica di confronto tra posizioni e interessi diversi, senza che si stabiliscano, senza appesantimenti burocratici, principi e regole che vincolino il comportamento delle parti.

 

febbraio 2003