Investimenti, valore aggiunto, produttività e attività finanziaria delle imprese

 nella Relazione annuale del governatore della Banca d’Italia (2006)

 

Nel 2005 il ridimensionamento degli investimenti è stato particolarmente intenso nella componente macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto, che si è ridotta dell’1,6% dopo l’espansione del 3,3% nel 2004.

Nonostante il persistere di un basso costo del finanziamento sul mercato del credito, i piani d’investimento sono stati frenati dal peggioramento delle condizioni di redditività e soprattutto dal modesto utilizzo degli impianti. Quest’ultimo, nella media del 2005, si è stabilizzato sui livelli più bassi degli ultimi sei anni, segnando un nuovo minimo storico nei settori che esportano una quota rilevante del fatturato.

Dall’inizio del decennio gli acquisti di beni strumentali sono aumentati in misura assai modesta (0,4% l’anno), segnando un brusco rallentamento nel confronto con la seconda metà degli anni ’90, in linea con l’indebolirsi delle condizioni della domanda.

Nel 2005 gli investimenti in costruzioni hanno di nuovo rallentato (0,6%; 1,0% nel 2004), unicamente per il forte calo nel comparto non residenziale. Vi ha contribuito il netto ridimensionamento delle opere del Genio Civile, riconducibile soprattutto alla componente pubblica.

L’espansione degli investimenti in edilizia residenziale è continuata a un ritmo più che doppio rispetto all’anno precedente (6,2%).

Secondo l’Indice della Bd’I l’incremento dei prezzi degli immobili nelle grandi città capoluogo è stato dal 1999 in avanti del 7,5% annuo (al netto della variazione dei prezzi al consumo). Nello stesso periodo i canoni dei nuovi contratti di locazione nelle grandi città sono aumentati in media del 7,9% l’anno in termini reali (3,9% nel resto dei capoluoghi di provincia).

Nel complesso del Paese, nel 2005 l’incremento si è confermato di quasi 6 punti superiore all’inflazione.

Il calo della spesa per investimenti (-1,4% a prezzi costanti) ha interessato in ugual misura le imprese che realizzano all’estero parte del proprio fatturato e quelle orientate unicamente al mercato interno.

Per l’anno in corso si prevede nel complesso una ripresa dell’accumulazione. Il recupero sottende valutazioni assai differenti tra i diversi comparti: le imprese manifatturiere prevedono una contrazione, seppur più lieve di quella dello scorso anno (-2,9%).

Le esportazioni. Dopo il parziale recupero del 2004, lo scorso anno le esportazioni di beni e servizi sono cresciute dello 0,3%, il valore di gran lunga più contenuto tra i principali paesi europei.

La debolezza delle esportazioni italiane risente dei fattori strutturali sottostanti all’insoddisfacente evoluzione della produttività e al modello di specializzazione, tuttora orientato nei settori a più basso contenuto tecnologico, dove maggiore è la presenza dei paesi emergenti e minore la dinamica della spesa a livello mondiale.

Tra la fine del 2000 e del 2005 la competitività di prezzo delle merci italiane, misurata sulla base dei costi unitari del lavoro dei beni manufatti, ha subito una perdita del 30%, di cui meno di un terzo attribuibile all’apprezzamento nominale dell’euro in termini effettivi.. Nello stesso periodo la competitività è peggiorata solo del 10% per le merci francesi, mentre è addirittura migliorata di quasi il 3 per quelle tedesche.

L’evoluzione assai più sfavorevole in Italia riflette in prevalenza il peggioramento di lungo periodo delle condizioni di efficienza e della capacità di adattamento delle nuove tecnologie del sistema produttivo nazionale.

Dal 1995 la quota del mercato mondiale dei beni detenuta dai nostri esportatori, valutata a prezzi costanti, si è ridotta dal 4,6% al 2,7.

Nel 2005 si è ridotto il volume di esportazione di macchine e apparecchi meccanici e, come nel quadriennio precedente, dei prodotti tessili e dell’abbigliamento e di quelli in cuoio e calzature. Contributi positivi all’andamento delle esportazioni in quantità sono invece stati forniti dai prodotti petroliferi, chimici e dei metalli e prodotti in metallo.

Il calo delle esportazioni verso gli altri paesi della UE è stato più cospicuo che verso il resto del mondo.

Le importazioni. Nel 2005 la crescita delle importazioni di beni e servizi è scesa dal 2,5% all’1,4, riflettendo soprattutto il minore stimolo derivante dalla domanda nazionale e dalle esportazioni.

Il valore aggiunto nei settori produttivi. Nel 2005 il valore aggiunto al costo dei fattori, che ha registrato complessivamente una crescita nulla in termini reali, ha risentito della riduzione di quello dell’industria in senso stretto (-2,3 per cento).

Nell’industria manifatturiera la flessione è stata in media pari ogni anno all’1,3 per cento (-2,2 nel 2005). Si confermano le tendenze fortemente negative delle attività manifatturiere tradizionali. Anche il comparto della fabbricazione di macchine elettriche ha registrato una flessione (-3,8 per cento); prosegue l’andamento relativamente favorevole della metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo e della fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici, che hanno mantenuto ritmi di crescita superiori a quelli medi dell’industria manifatturiera.

Il rallentamento della produttività. La crescita della produttività del lavoro, oltre un punto percentuale all’anno nella seconda metà degli anni novanta, si è arrestata nell’ultimo quinquennio, mentre è cresciuta dell’1,1 per cento in Francia e dell’1,2 in Germania.

Nell’industria manifatturiera la produttività si è ridotta annualmente dello 0,8 per cento.

La flessione generalizzata suggerisce che i problemi dell’economia italiana non sono direttamente attribuibili al modello di specializzazione, ma derivano piuttosto da debolezze strutturali che, nel mutato contesto tecnologico e data la crescente integrazione dei mercati internazionali, influiscono negativamente su tutte le attività produttive. La limitata dimensione delle imprese, l’insufficiente adozione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), la scarsa capacità di innovare, le inadeguate pressioni concorrenziali contribuiscono a determinare il calo della produttività, particolarmente nella componente della produttività totale dei fattori (PTF), che approssima il tasso di progresso tecnologico e organizzativo di un’economia.

La PTF è cresciuta in media del 4,4 per cento l’anno durante gli anni sessanta, decelerando all’1,7 nel decennio successivo per poi attestarsi intorno all’1 per cento negli anni ottanta e novanta. Nel corso di questo decennio la PTF è risultata in calo: tra il calo: tra il 2000 e il 2003 si è contratta a un tasso medio annuo dello 0,6 per cento, a fronte di incrementi dell’1,8 in Francia e dello 0,7 per cento in Germania.

L’attività innovativa è un fattore determinante per la crescita della PTF. In Italia nel 2003 la spesa totale in ricerca e sviluppo (R&S) in rapporto al PIL è stata l’1,1 per cento, un valore in lieve diminuzione rispetto all’anno precedente e nettamente inferiore a quello della Francia (2,2 per cento), della Germania (2,5) e alla media europea (1,8). Il divario è particolarmente ampio nella componente privata.

La distribuzione delle attività finanziarie e del debito delle famiglie. Nell’ultimo decennio è aumentata presso i risparmiatori la diffusione di strumenti finanziari a più lunga scadenza. Secondo l’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, è quasi raddoppiata, da meno del 9 al 16, la percentuale di famiglie che possiedono obbligazioni, quote di fondi comuni o azioni.

Al forte incremento del valore degli immobili di proprietà delle famiglie e dell’attività sul mercato immobiliare è corrisposto un aumento del debito medio per nucleo familiare che, includendo mutui e finanziamenti al consumo, è salito tra il 1995 e il 2004 da 14.000 a 27.000 euro.

L’indebitamento delle famiglie italiane non è elevato in rapporto ai livelli di ricchezza, riflettendo anche l’effetto della rivalutazione degli attivi, in particolare della componente immobiliare. Inoltre il debito è concentrato tra le famiglie più ricche.

Il finanziamento e le attività finanziarie delle imprese. Nel 2005 la debole attività economica si è riflessa in un calo della redditività delle imprese non finanziarie.

In rapporto al valore aggiunto, il margine operativo lordo è diminuito di circa un punto percentuale rispetto all’anno precedente, al 34 per cento, un valore modesto nel confronto con la media dell’ultimo decennio.

Per le imprese di grande dimensione la redditività ha mostrato un andamento più favorevole: sulla base dei bilanci consolidati dei principali gruppi industriali quotati in borsa, nel 2005 sia la redditività operativa, sia il ROE sono risultati superiori all’anno precedente.

Nonostante il rallentamento dell’attività economica, tra il 2002 e il 2004, ultimo anno per il quale sono disponibili i dati della Centrale dei bilanci, le condizioni reddituali delle imprese italiane sono rimaste in media relativamente stabili rispetto al triennio precedente. La redditività operativa delle imprese del campione è diminuita rispetto a quanto registrato tra il 1999 e il 2001 soprattutto nei settori produttivi a più basso contenuto tecnologico; per le imprese di costruzioni e dei comparti ad alta tecnologia è invece lievemente migliorata.

L’indebitamento. Nel 2005 la situazione finanziaria delle imprese è rimasta sostanzialmente stabile, pur in un periodo di debolezza congiunturale.

La situazione finanziaria è notevolmente migliorata per le grandi imprese quotate in Borsa: nel 2005 la maggioranza dei principali gruppi industriali italiani ha registrato una riduzione del debito in rapporto al fatturato rispetto all’anno precedente. Queste imprese restano però caratterizzate da livelli di debito elevati.

Le imprese italiane sono nel complesso meno indebitate di quelle degli altri principali paesi industrializzati. Tuttavia, le grandi imprese italiane quotate sono ancora caratterizzate da un grado di indebitamento più elevato di quelle dei principali paesi industriali.

Le attività finanziarie e le operazioni di fusione e di acquisizione. Nel 2005, in un contesto di ristagno degli investimenti produttivi e di basso costo della raccolta di capitali, le attività finanziarie detenute dalle imprese sono aumentate di 69 miliardi.

In Italia nel 2005 il numero e il valore delle operazioni di concentrazione sono cresciuti rispetto agli anni precedenti: sono state annunciate oltre 120 operazioni da parte di acquirenti italiani, per un controvalore di circa 7 miliardi. Le operazioni di concentrazione sono aumentate in particolare tra le imprese dei servizi di pubblica utilità, cui sono riconducibili il 15 per cento delle operazioni e oltre il 60 per cento del valore complessivo.

L’incidenza delle acquisizioni di società estere sul totale delle operazioni condotte da imprese italiane è rimasta invariata, al 25 per cento. La maggior parte ha riguardato i paesi dell’area dell’euro, mentre è stata trascurabile la quota di operazioni con controparti localizzate in paesi dell’Europa orientale; le fusioni e le acquisizioni di imprese asiatiche sono salite dall’1 al 3 per cento. Per contro, nel 2005 circa 50 imprese non finanziarie italiane sono state acquisite da società estere.

(Sintesi liberamente realizzata da G. Ferrante)