Evoluzione del sistema delle imprese e produttività

 

Il 24 maggio 2006 è stato presentato dall’Istat il “Rapporto annuale” sulla situazione del Paese nel 2005. Di questo ampio studio qui prendiamo in considerazione il 2° capitolo su l’Evoluzione del sistema delle imprese e produttività. Continuiamo così il nostro tentativo di dare conto dei più diversi e qualificati contributi della letteratura economica e sociale al fine di inquadrare con ampiezza e oggettività le determinanti del ritardo industriale italiano e delle sue concause, cercando peraltro di rimuovere luoghi comuni e visioni parziali.

 

L’analisi esordisce ricordando come le difficoltà del sistema produttivo italiano a fronteggiare il mutamento profondo dello scenario competitivo degli ultimi anni derivino in buona parte dagli aspetti di dimensione e di specializzazione.

Sono due aspetti chiave per valutare la performance della nostra economia.

L’Istat quindi passa ad un confronto con gli altri paesi europei (con dati, i più recenti disponibili, che vanno dal 1999 al 2003).

L’Italia è caratterizzata da elevata imprenditorialità, ma anche da dimensioni d’impresa ridotte e produttività modesta (del 10% inferiore). Le ridotte dimensioni d’impresa da noi sono legate anche all’elevata quantità di lavoro autonomo: il 30% contro il 10% delle altre economie europee. Quanto alla specializzazione ancora una volta si conferma (Eurostat) che i settori ad alta tecnologia offrono un contributo relativamente modesto alla formazione del valore aggiunto manifatturiero, soprattutto nelle filiere dell’elettronica e dell’aerospaziale (va meglio nella meccanica strumentale).

Lo svantaggio è andato crescendo tra il 1999 e il 2003, periodo in cui la quota italiana di spesa per attività di ricerca e sviluppo è rimasta sostanzialmente invariata, mentre quella del Regno Unito è aumentata del 2,5% e quella della Germania di un punto.

Dimensione d’impresa e specializzazione sono strettamente associate alla produttività.

Le imprese di dimensioni maggiori tendono ad avere una più elevata intensità di assets e quindi ad essere più produttive.

L’aspetto dimensionale da solo spiega circa la metà del differenziale. Quasi il 30% origina dall’interazione tra composizione settoriale e per classi d’addetti, mettendo in luce l’importante effetto congiunto di una specializzazione in settori caratterizzati da bassa produttività e da dimensioni prevalenti d’impresa ridotte.

Il sistema delle imprese italiane genera un valore aggiunto per addetto mediamente inferiore a quello delle altre maggiori economie europee. Esso, tuttavia, sopporta, un costo del lavoro per dipendente decisamente più basso, in particolare nella manifattura, dove la differenza è pari a circa 9mila euro con la Francia e 14mila con la Germania.

L’incidenza degli oneri sociali leggermente inferiore rispetto a quella della Francia, ma di quasi 10 punti percentuali superiore a quella della Germania e della Spagna e di 20 punti rispetto al Regno Unito: ciò nonostante il costo del lavoro per dipendente italiano rimane tra i più bassi.

La combinazione di questi elementi fa si che nelle imprese italiane la redditività resti in linea con quelle degli altri paesi, compensando il minor valore aggiunto per addetto con il basso costo del lavoro.

Sempre con riguardo al costo del lavoro per dipendente dagli approfondimenti compiuti dallo studio dell’Istat emerge come questo risulti in forte aumento per le imprese in miglioramento, stagnante o in diminuzione per quelle in peggioramento; questo risultato, letto insieme a quello relativo alle imprese più o meno produttive, suggerisce che i miglioramenti di produttività sono strettamente associati a un aumento del capitale umano.

 

Negli ultimi anni l’evoluzione strutturale dell’universo delle imprese procede lungo due direttrici principali: terziarizzazione e concentrazione. L’espansione dei servizi continua a ingrossare la popolazione delle microimprese, ma la novità degli ultimi anni è che in alcuni segmenti del terziario la crescita dell’occupazione nelle imprese più grandi è forte.

I dati degli ultimi 5 anni disponibili (2000-2004) mostrano un sistematico aumento della quota di addetti del terziario (dal 56,2 al 60,2%) e una tendenza più incerta ma analoga della quota di addetti delle grandi imprese, passata dal 18,1% al 20,1%.

La struttura dimensionale delle imprese italiane (3,8 addetti medi) continua a modificarsi con estrema lentezza.

 

La performance delle imprese

La performance comparativamente meno brillante del sistema delle imprese italiane rispetto alle altre grandi economie europee non trova spiegazione prevalente nella dinamica demografica (nati-mortalità delle imprese). Anche gli effetti di ricomposizione occupazionale all’interno dei diversi settori hanno nel complesso un impatto positivo sulla performance, a testimonianza degli effetti virtuosi della selezione operata dai meccanismi di mercato. I problemi maggiori risiedono, dunque, nel declino dell’output unitario imputabile alle dinamiche individuali delle imprese attive.

Qui di seguito vengono richiamati elementi legati alla performance delle imprese in relazione a diversi elementi strutturali e comportamentali (informazioni tratte dai bilanci e dall’archivio statistico delle imprese attive e dalle statistiche del commercio con l’estero).

Per quanto riguarda la produttività del lavoro, si osserva per molti settori una prima fase di crescita fino al 2002 seguita da una brusca riduzione nel 2003; nelle “altre manifatture” (offerta specializzata, alta intensità di R&S ed elevate economie di scala) e nei servizi tradizionali l’andamento negativo parte dal 2001. Nel 2004 i livelli di produttività sono stazionari o in lieve ripresa in tutti i settori. L’intensità di capitale mostra complessivamente una dinamica piuttosto contenuta nella manifattura. In tutti i settori è in calo la redditività. Anche il rapporto di indebitamento delle imprese diminuisce in tutti i settori, indicando una minore dipendenza dalle fonti di finanziamento esterne, che nella manifattura tradizionale appare associabile alla frenata degli investimenti.

Per i macrosettori esaminati si è messa in relazione la produttività del lavoro (calcolata come rapporto tra valore aggiunto e addetti), con variabili che rappresentano strategie e caratteristiche strutturali dell’impresa e del contesto in cui opera (stock di capitale, spese per servizi, immobilizzazioni immateriali, ovvero spese per brevetti, software e R&S), e le esportazioni, tutte rapportate agli addetti.

I risultati delle stime mostrano come l’intensità di capitale e l’incidenza di spese per servizi hanno un impatto positivo sulla produttività. Di segno negativo, invece, è la relazione tra produttività e rapporto di indebitamento: ciò si spiega con il fatto che il sistema capitalistico italiano è caratterizzato da un basso ricorso a fonti di finanziamento esterne; perciò una maggiore esposizione debitoria delle imprese è indice di fragilità che si associa anche a performance produttive peggiori.

 

Stagnazione della produttività ed effetti di composizione settoriale

Tra gli aspetti più problematici della competitività delle imprese italiane va senz’altro segnalata la stagnazione della produttività del lavoro (misurata sia in termini di prodotto per occupato sia per ora lavorata) che a partire dal 2000 ha subito prima una decelerazione della crescita e poi una contrazione. Nel periodo 2000-2003, il prodotto per occupato è diminuito in termini reali del 2,3%, mentre la produttività oraria ha fatto registrare una minima variazione positiva (0,1). Questo risultato aggregato potrebbe, tuttavia, essere imputato a un rallentamento generalizzato della produttività nei diversi settori oppure a effetti di composizione, dovuta alla crescita occupazionale dei settori a produttività più bassa oppure a una contrazione occupazionale dei settori con più alti livelli di produttività.

Un approfondimento dell’analisi consente di scomporre le variazioni della produttività in due parti: quella ascrivibile alle variazioni nella composizione settoriale, e quella riconducibile alla variazione effettiva delle produttività all’interno dei singoli settori. Tra il 2000 e il 2003, a livello aggregato prevale l’effetto della ricomposizione settoriale del monte ore, mentre la componente imputabile alle dinamiche settoriali della produttività è nulla. A livello dei singoli settori, tuttavia, emergono alcune dinamiche specifiche. I maggiori contributi positivi alla variazione totale della produttività oraria sono imputabili a tre settori dei servizi, nei quali il contributo delle nuove tecnologie alla produttività ha un ruolo più rilevante: le attività immobiliari e imprenditoriali, i trasporti e comunicazioni, la sanità.