L’industria del declino

Articolo di G. Ferrante, pubblicato su Rassegna sindacale n.42 del 17/23 novembre 2005

 

L’osservazione di Luigi Spaventa secondo cui la letteratura sul declino dell’economia è “forse la sola industria in rapida crescita” nel Paese, coglie con ironia un fenomeno in atto. Tutti da un po’ di tempo ripetono, variando magari l’ordine dei fattori, le cause del declino, ma pochi stringono sui rimedi. Sarà che i rimedi non si trovano dentro un cappello, per cui basta prenderli per rimettere in moto la macchina, ma stanno dentro una faticosa e profonda manovra che deve innanzitutto partire da una scelta politica in favore della crescita. La scelta va trasformata in progetto, che va poi applicato, con criteri stringenti di priorità, ad aspetti fondamentali della politica economica.

Ma se di declino si deve parlare, conviene tenersi lontano da una raffigurazione della situazione che usa solo il colore nero per dipingere. La crisi del sistema industriale è certo grave e strutturale, ma il manifatturiero italiano, essendo appunto strutturalmente debole, nelle congiunture negative ha dato spesso l’impressione di sprofondare.

Oggi la situazione è più seria che in passato, ma è comunque importante guardare dentro i settori del manifatturiero e cogliere le differenze. Non è un caso che a seconda che si guardi ai dati Istat o si guardi , per esempio, ai dati Mediobanca, si abbia l’impressione di vedere due Italie alquanto diverse: una più negativamente piatta, l’altra assai più variegata, con risultati anche assai confortanti. Così se si guarda al Rapporto sui settori industriali di Prometeia e Banca Intesa (ottobre ’05) si colgono i primi effetti del processo di ristrutturazione del tessuto manifatturiero (in particolare nelle esportazioni). Certo, non si negano problemi che sono evidenti, come l’eccessiva presenza di imprese di taglia ridotta. E se la produttività del lavoro aumenta al crescere dell’intensità tecnologica e della dimensione d’impresa, il Rapporto segnala come la produttività italiana crescerebbe ben del 21% se avessimo la struttura di Francia, Germania e Regno Unito. E la ridotta evoluzione della produttività del lavoro – sottolinea il Rapporto - non è solo ascrivibile alla struttura dell’industria e alla dimensione delle imprese, ma soprattutto “dall’inefficienza dei servizi alle imprese, dall’eccessiva burocrazia, dalla bassa intensità di ricerca e sviluppo”.

La saga del declino continua, ma quanto è cambiata dagli esordi che volevano imputato principale costo del lavoro e retribuzioni.