Previdenza complementare: storie di un anno. A che punto siamo?

   

Riteniamo utile offrire una ricapitolazione, relativa almeno all’ultima fase, dello Schema di decreto di riforma della previdenza complementare.

Si tratta di una vicenda, come si sa, non conclusa, che ha vissuto innumerevoli svolte, sempre in un contesto di rapporti negativi tra sindacati e governo.

Rimane il fatto che la previdenza complementare costituisce a tutt’oggi una valida e imprescindibile difesa – in particolare per i lavoratori più giovani – a fronte del quadro legislativo che si è andato consolidando nell’ultimo decennio. Restare senza previdenza complementare per un giovane significa accumulare un ritardo nell’accantonamento pensionistico, ritardo non più recuperabile successivamente.

Come facciamo fin dall’inizio dei Fondi negoziali per i lavoratori metalmeccanici (operativi dal ’98) seguiamo l’evolversi dei confronti che si sviluppano tra le parti sociali e con il governo, partecipando attivamente alla formazione degli orientamenti attraverso gli strumenti individuati (dall’Assemblea dei rappresentanti dei soci, presente in ogni Fondo, al Coordinamento nazionale Fiom per i Fondi pensione).

 

Luglio 2004. Dopo quasi tre anni di gestazione (dal dicembre 2001), durante i quali si sono vissuti aspri e continui scontri tra governo e forze sociali, scanditi da due scioperi generali contro i propositi di riforma previdenziale, viene approvata la Legge delega (n. 243/2004) per la riforma del sistema previdenziale italiano (pubblico e complementare).

La Legge delega diventa ufficiale il 6 ottobre ed entro i 12 mesi  successivi devono essere varati i Decreti attuativi, pena il decadimento del provvedimento.

Il giudizio della Cgil sulla nuova legge è apertamente negativo (anche se si è riusciti ad annullare alcuni interventi ulteriormente peggiorativi, come la decontribuzione e l’obbligatorietà del trasferimento del Tfr alla previdenza complementare).

Inizia una difficile battaglia per intervenire in senso migliorativo sui Decreti attuativi della Legge delega. In particolare:

- respingere l’equiparazione tra previdenza complementare di tipo negoziale e il terzo pilastro, fatto da polizze individuali previdenziali; respingere in caso di mancata espressione di volontà da parte del lavoratore (tacito assenso) l’invio automatico del Tfr ai diversi prodotti indicati genericamente dal provvedimento legislativo;

- migliorare i benefici fiscali per gli iscritti; informazione capillare per i potenziali iscritti in modo da esercitare il silenzio – assenso in modo cosciente; assenza di costi aggiuntivi per le imprese derivanti dalla nuova collocazione del Tfr (senza però stravolgere i principi fondamentali del funzionamento del secondo pilastro).

Il confronto tra governo e parti sociali prosegue con enormi difficoltà e a distanza avendo scelto il primo, fin dall’inizio, di procedere in modo autonomo.

Febbraio 2005. Un vasto fronte formato da Cgil, Cisl e Uil, nonché Confindustria, Confapi, Confcommercio e altri invia al governo un “Avviso comune” in cui vengono raccolti i punti cardine da salvaguardare nella realizzazione dei Decreti attuativi. In sintesi:

- centralità della contrattazione collettiva nazionale nell’individuazione delle forme pensionistiche complementari più adeguate per i diversi comparti produttivi e nella determinazione dei relativi flussi di finanziamento;

- la distinzione tra forme di previdenza complementare collettiva e forme di previdenza complementare individuale.

- nei casi di conferimento tacito (silenzio – assenso), l’approdo naturale dei flussi di Tfr non può che essere verso le forme pensionistiche di natura negoziale, nel rispetto quindi dell’autonomia contrattuale collettiva, e – ove non sia individuabile una unica forma previdenziale prevista dalla contrattazione collettiva - verso la forma preventivamente definita mediante intese fra le imprese e le rappresentanze sindacali dei lavoratori.

- le parti sociali ritengono che il Fondo da istituire presso l’Inps - o presso altri enti di previdenza obbligatoria - ai fini della devoluzione del Tfr non altrimenti destinato, debba avere carattere residuale e debba essere istituito sulla base di regole gestionali identiche a quelle esistenti nella previdenza complementare di natura negoziale, che vedano coinvolte le parti sociali. Tale Fondo dovrà essere anch’esso sottoposto al controllo e alla vigilanza della Covip, come stabilito dalla disciplina del decreto legislativo 124/93.

- l’abrogazione dell’imposta sostitutiva sui rendimenti delle forme pensionistiche complementari in ragione della finalità previdenziale, in analogia alla gran parte dei regimi fiscali della previdenza complementare esistenti nell’Ue;

- l’assoggettamento delle prestazioni pensionistiche complementari ad un sistema di aliquote privilegiate che tenga conto della progressività fiscale, senza distinzione rispetto al periodo di permanenza nella forma pensionistica medesima, al fine di realizzare un effettivo sistema fiscale incentivante.

Marzo 2005. Anche la Fiom esprime a più riprese il suo punto di vista (vedi riunioni del Coordinamento nazionale Fondi pensione Fiom del 9 dicembre 2004 e del 15 luglio 2005; vedi anche il Seminario Fim, Fiom, Uilm del 15 marzo).

Partendo dal fatto che il Tfr è salario (differito) dei lavoratori, deve esistere un’effettiva libertà di scelta del lavoratore su dove collocarlo. Deve esistere anche la possibilità di lasciare il Tfr in azienda. La Fiom ritiene comunque importante e conveniente per il loro futuro pensionistico che i lavoratori metalmeccanici, soprattutto i più giovani, aderiscano alla previdenza complementare di tipo negoziale (Cometa, Fondapi, Artifond).

Maggio 2005. Nonostante il tempo trascorso il ministro del Welfare Maroni non si pronuncia sulle prese di posizione delle numerose Associazioni che hanno sottoscritto l’Avviso comune.

9 Giugno 2005. Il Segretario nazionale Fiom, responsabile per la previdenza complementare, Fausto Durante, in un comunicato stampa dichiara tra l’altro:

La Fiom-Cgil guarda con preoccupazione all’incontro di domani, 9 giugno, tra Governo e parti sociali sul decreto legislativo n. 243 in materia di previdenza complementare. L’impianto non condivisibile del provvedimento, la sostanziale negazione di un confronto con le organizzazioni sindacali, il permanere di forti ambiguità in punti sostanziali della legge sono gli elementi che stanno alla base di questa preoccupazione.”

“L’utilizzo del Tfr va indirizzato in modo chiaro e prioritario verso i Fondi negoziali, lasciando facoltà a coloro che non dovessero iscriversi di continuare ad accantonarlo in azienda. I Fondi di categoria e i Fondi aperti ad adesione collettiva, contrattata, non possono essere confusi con le polizze individuali. Queste ultime sono uno strumento puramente finanziario che niente ha a che vedere con la logica dei fondi contrattuali e con la contrattazione tra le parti sociali: occorre impedire che i lavoratori - soprattutto delle aziende più piccole - siano esposti ad ambigue e svantaggiose proposte di mercato.”

30 Giugno. Il Coordinamento nazionale Fiom Fondi pensione formula un comunicato in cui tra l’altro si afferma:

Il Coordinamento nazionale Fiom-Cgil sui fondi pensione esprime una forte contrarietà sui contenuti e il metodo seguito nell’iter dei Decreti attuativi collegati alla Delega previdenziale.

Non è certo un caso che il Governo nel corso dei tre anni di gestazione di questo provvedimento abbia sempre più privilegiato il sistema delle banche e delle assicurazioni, trascurando il confronto con le Confederazioni sindacali che pure hanno presentato unitariamente (e con le controparti) proposte tese a salvaguardare le relazioni contrattuali e la difesa dei diritti collettivi dei lavoratori.

La Fiom dal canto suo – a livello centrale e territoriale e in raccordo con la Confederazione – pianificherà tutte le iniziative necessarie per informare per tempo e orientare i metalmeccanici prioritariamente verso l’iscrizione consapevole ai fondi negoziali di categoria – quale più efficace strumento di tutela dei diritti previdenziali integrativi – e verso la difesa delle libertà individuali circa la collocazione del Tfr.

1 Luglio. Il Consiglio dei ministri approva lo Schema di provvedimento di attuazione della riforma della previdenza complementare.

5 Luglio. La Fiom nazionale produce un nuovo volantino per i lavoratori, in cui tra l’altro si ricorda:

Oggi lo Schema di decreto legislativo rappresenta una versione provvisoria. Non occorre da parte dei lavoratori, al momento, prendere alcuna iniziativa, poiché fino a quando il provvedimento non sarà definitivo restano in vigore le norme attuali. Eventuali “offerte” di compilare moduli sulla destinazione del Tfr risultano quindi arbitrarie, così come vanno viste con sospetto “pressioni” ad aderire a  polizze previdenziali individuali o a fondi aperti, tanto più se questi considerano già in vigore la Delega previdenziale.

L’esperienza dei fondi nazionali di categoria – che ha dato fino a oggi positivi risultati in termini di tutela, trasparenza di funzionamento, bassi costi e controllo sociale – deve continuare ad avere come riferimento principale i diritti sanciti nei contratti nazionali di lavoro.

28 luglio. Oltre 20 sigle, dalle Confederazioni alle principali rappresentanze datoriali, emettono un nuovo documento di richieste imprescindibili. Il Documento si concentra in particolare su 5 punti:

1) no all'equiparazione tra fondi negoziali e le altre forme previdenziali; 2) che nel meccanismo di silenzio-assenso abbiano un ruolo centrale le rappresentanze aziendali; 3) le compensazioni alle imprese nel momento in cui queste non avessero più a disposizione le risorse derivanti dal tfr (13 mld annui); 4) il rispetto del ruolo contrattuale delle previdenza complementare; 5) agevolazioni fiscali.

In particolare le critiche si appuntano su i seguenti punti: lo Schema di provvedimento ridefinisce completamente il sistema, disconoscendo per più profili la centralità fino ad oggi attribuita dalla normativa speciale alla dimensione contrattuale e collettiva della previdenza complementare. L’equiparazione tra forme di natura collettiva e forme di natura individuale rende la previdenza complementare non coerente con le caratteristiche proprie del rapporto di lavoro dipendente e si realizza a scapito del ruolo e delle competenze della contrattazione collettiva.

Riguardo alla soluzione di affidare comunque alla contrattazione collettiva la decisione ultima circa la destinazione del Tfr per i lavoratori “silenti”, resta importante eliminare ogni dubbio circa il fatto che, in caso di pluralità di forme potenzialmente in grado di acquisire i flussi di Tfr, la decisione venga assunta mediante accordi tra datori di lavoro e rappresentanze sindacali dei lavoratori. Il termine “parti” utilizzato nel testo di decreto resta infatti equivoco non identificando con certezza il soggetto o i soggetti abilitati al raggiungimento dell’accordo.

(…) Si ritiene non accettabile la limitazione dei diritti per gli aderenti ai fondi in materia di anticipazioni e di riscatto della posizione individuale in occasione di cessazione del rapporto di lavoro; modifiche normative che vanno ad incidere non solo sulla condizione dei nuovi aderenti ma anche sul contratto stipulato con il fondo di adesione dai lavoratori già iscritti.

Riguardo alla soluzione di affidare comunque alla contrattazione collettiva la decisione ultima circa la destinazione del Tfr per i lavoratori “silenti”, resta importante eliminare ogni dubbio circa il fatto che, in caso di pluralità di forme potenzialmente in grado di acquisire i flussi di Tfr, la decisione venga assunta mediante accordi tra datori di lavoro e rappresentanze sindacali dei lavoratori. Il termine “parti” utilizzato nel testo di decreto resta infatti equivoco non identificando con certezza il soggetto o i soggetti abilitati al raggiungimento dell’accordo.

Settembre. Il ministro Maroni accoglie buona parte delle proposte contenute nel Documento presentato unitariamente da 22 Associazioni. Il ministro trasmette il nuovo testo (di compromesso) alle Commissioni parlamentari, declinando però ogni responsabilità in merito al suo recepimento e si concentra su uno su uno dei molti problemi rimasti aperti: la costituzione del fondo di garanzia richiesto per allineare al rendimento del Tfr il costo del finanziamento bancario sostitutivo.

15 Settembre. In un comunicato stampa Fausto Durante, responsabile per la Segreteria Fiom della previdenza complementare, esprime una moderata soddisfazione per i passi in avanti, ma resta però il giudizio di insoddisfazione sull’insieme del Decreto e su come è stato costruito. In particolare, rispetto alla versione attualmente in discussione, in primo luogo perché propone di introdurre regimi differenziati di tassazione tra previdenza pubblica e complementare, invece di ridurre, da oggi, come richiesto, la tassazione dei rendimenti finanziari. In secondo luogo perché è inaccettabile impedire il riscatto delle somme accantonate a chi interrompe o cambia lavoro se non dopo 48 mesi di disoccupazione.”

“Inoltre, vanno garantite, da parte delle imprese, modalità certe ed equilibrate di informazione dei lavoratori circa le opzioni a loro disposizione.”

“Merita infine ricordare che l’attuale Schema conferma la possibilità per il lavoratore di mantenere il Tfr maturando in azienda e che, alla luce del regime pensionistico attuale e in via di definizione, l’iscrizione ai fondi negoziali, come Cometa e Fondapi, è necessaria e conveniente, in particolare per i giovani lavoratori”.

Settembre. L’invio del documento (che accoglie le proposte delle organizzazioni sociali) alle Commissioni parlamentari a fine mese determina un nuovo capovolgimento di fronte. Le proposte accolte vengono respinte e il Documento assume un profilo peggiorativo, inaccettabile per le organizzazioni sindacali. La Segretaria confederale Cgil, Morena Piccinini, dichiara (29 settembre): 

“Il parere espresso dalle Commissioni lavoro di Camera e Senato sul decreto in materia di previdenza complementare ha confermato la piena subalternità politica e culturale della maggioranza a banche e assicurazioni. Non ci sembra un caso, infatti, che nel testo troviamo esattamente tutte le osservazioni e pressioni che in questi mesi Abi e Ania hanno espresso e proprio sui punti più qualificanti delle modifiche che il ministro Maroni si era impegnato ad apportare sul testo originario del decreto. Addirittura, se possibile, vengono peggiorati i contenuti del medesimo decreto originario.

Scandalosa è la motivazione con la quale le commissioni esigono che venga stravolto il ruolo della contrattazione aziendale, legittimando la rappresentanza dei lavoratori anche in capo a soggetti esterni alle organizzazioni sindacali (magari le stesse banche e assicurazioni) con titolarità a istituire forme di previdenza complementare e realizzando uno sgorbio giuridico e un oltraggio alle relazioni sindacali consolidate anche per legge. Ebbene la motivazione di tutto ciò sta nella esigenza “di garantire livelli accettabili di libertà economica sia per i lavoratori che per le aziende”!!!

5 Ottobre. Penultimo giorno utile prima della scadenza del provvedimento, il governo rinvia il testo alle Camere provocando tra l’altro un forte disappunto da parte del ministro che si sente tradito dalla sua maggioranza, imputando particolari responsabilità negative alle pressioni esercitate dalla lobby delle assicurazioni.

Sono possibili trenta giorni di proroga (6 novembre), dopodiché il Consiglio dei ministri nell’approvarlo o meno potrà prescindere dalle commissioni parlamentari.

Alla base del conflitto le pressioni esercitate dalle assicurazioni che chiedono un’effettiva parità, come previsto dalla Legge delega, soprattutto per quanto riguarda la “portabilità”, ovvero sul contributo a carico del datore di lavoro da destinare alle forme di previdenza. Il Documento rinviato alle Camere avrebbe dovuto peraltro contenere, su suggerimento del Parlamento, una moratoria per le piccole e medie imprese, ovvero l’entrata in vigore posticipata di circa 24 mesi delle nuove regole del Tfr.

6 Ottobre. Cgil, Cisl, Uil e Ugl emettono un comunicato in cui tra l’altro si afferma:

Cgil, Cisl, Uil e Ugl valutano negativamente la rimessa in discussione degli impegni presi dal Ministro del lavoro e delle Politiche sociali verso le  23 organizzazioni di rappresentanza degli interessi dei lavoratori e delle imprese su punti qualificanti di tale modello che, unico, consente la reale comparazione e trasparenza dei costi e delle convenienze per i lavoratori. La gvernance e la partecipazione dei lavoratori al controllo dell’utilizzo dei propri risparmi, la disciplina fiscale e la sua armonizzazione con il sistema fiscale ordinario, il regime dei riscatti, l’unicità della vigilanza e del controllo sono tutti requisiti fondamentali per una previdenza complementare che ha al centro il lavoratore e non il profitto finanziario. Elementi assenti nei pareri formulati dalla competenti Commissioni parlamentari ed ora aggravati dagli ultimi orientamenti del Governo in materia di portabilità del contributo del datore di lavoro e con la moratoria per le imprese che non avranno possibilità di accesso al credito per le insufficienti risorse messe a disposizione dal Governo.

Cgil, Cisl, Uil e Ugl, infatti, giudicano, inaccettabile l’ipotesi di un doppio regime per l’adesione al sistema di previdenza complementare che danneggerebbe pesantemente i giovani lavoratori, oltretutto, i meno tutelati ed i meno protetti nel mercato del lavoro, realizzando un’insostenibile divisione sul fronte dei loro diritti e delle loro opportunità subordinando la possibilità per il lavoratore di aderire alla previdenza complementare, non più sulla base di un diritto soggettivo dello stesso ma bensì al rapporto tra l’impresa e le banche che dovrebbero erogare il credito.

Per quanto attiene, invece, alla portabilità dei contributi del lavoratore e del datore di lavoro, Cgil, Cisl, Uil e Ugl sono convinte che è fondamentale salvaguardare la libera scelta del lavoratore finalizzata a valorizzare la dignità di una posizione previdenziale ma restano altrettanto convinte che in un mercato speculativo la solidarietà contrattuale oggi prevista vada rivista e ridefinita nella sua funzione all’interno dei Contratti collettivi di lavoro.

 

Alcuni aspetti inaccettabili dello Schema

-         L’art. 10 dello Schema, nella formulazione antecedente l’intervento delle Commissioni parlamentari, prevedeva l’istituzione di un “fondo di garanzia per facilitare l’accesso al credito, in particolare per le piccole imprese, a seguito del conferimento del Tfr alle forme pensionistiche complementari” La facilitazione si è tradotta nell’impegno ad assicurare a tutte le imprese interessate prestiti equivalenti all’allocazione del Tfr al secondo pilastro senza oneri finanziari aggiuntivi. Per vincere le resistenze del sistema bancario alla concessione di prestiti semi automatici, il governo ha dovuto impegnarsi a coprire l’intero rischio di insolvenza sui finanziamenti e ad assumersi l’onere della differenza tra i tassi vincolanti e i rendimenti del Tfr.

A fronte delle difficoltà governative a coprire questi esborsi,  le Commissioni parlamentari si sono inventate una deroga “in via transitoria, per le imprese che non abbiano le condizioni per l’accesso al credito (includendo tutte le imprese a bassa patrimonializzazione e con significativi oneri finanziari (il che significa buona parte del sistema delle piccole e medie imprese, là dove i tassi di adesione sono più bassi) e quindi una gran parte dei lavoratori più giovani, particolarmente presenti in queste fasce d’impresa. Quindi almeno in una prima fase (24 mesi?), ai lavoratori di queste imprese non si applicherebbero né il meccanismo del conferimento tacito del Tfr ai fondi pensione né la libertà di scegliere la forma pensionistica complementare a cui destinare esplicitamente il Tfr.

-   Oltretutto si sollevano problemi di antitrust, poiché il Tfr è salario differito e non fonte di autofinanziamento delle imprese

-    Viene negata la portata generale dei contratti collettivi di lavoro. Le Commissioni hanno infatti proposto di considerare tali anche quelli limitati  “ai soli soggetti o lavoratori firmatari degli stessi”. Ciò potrebbe aprire una competizione tra Fpc e adesione collettiva alle altre forme pensionistiche complementari anche nelle imprese con consolidata adesione alla previdenza complementare.

Per un ulteriore aggiornamento rinviamo alla Nota pubblicata sul sito Fiom alla data del 14 ottobre, rinvenibile anche nella Sezione “Previdenza complementare” dello stesso sito.