"Industria metalmeccanica. Dietro la facciata"

 

Nell’ultimo incontro per il rinnovo del biennio economico contrattuale dei metalmeccanici, il 4 ottobre, il neo Direttore generale di Federmeccanica, introducendo il confronto tra le parti, ha fatto una rapida carrellata sui problemi che stanno a monte della trattativa. Sono di nuovo stati chiamati in causa la pesante situazione produttiva del settore metalmeccanico, il cattivo andamento della produttività (quindi il deficit di competitività), la dinamica dei prezzi che mette il Paese in difficoltà verso i competitori e, dulcis in fundo, l’elevato costo del lavoro (per unità di prodotto).

Si tratta di argomenti certo non nuovi, ma comunque di vasta portata che, pur meritando considerazioni più approfondite, richiedono qui qualche rapida contro argomentazione.

1) La situazione produttiva del settore, così come quella dell’intera economia, è sicuramente negativa, ma è necessario guardare all’interno per non dipingere solo a tinte fosche. All’interno del metalmeccanico comparti importanti come quello delle Macchine (con particolare riferimento alle esportazioni) e quello dei Metalli non si sono portati male. Nel difficile periodo 2000-2004 i Metalli hanno realizzato una crescita del 2,8% e anche nei primi sette mesi del 2005 risulta un andamento positivo, +0,8%, (le esportazioni poi sono cresciute del 17,2%).

E’ Mediobanca, nei suoi “Dati cumulativi di 2.007 società italiane” (2005), a ricordarci che a fronte di una crescita del Pil in valore corrente del 3,9% nel 2004, le aziende del campione hanno realizzato una crescita complessiva del 6% circa. Non si esagera se, riferendosi all’intero campione di imprese, si parla un record di utili. Sempre nel campione si evidenzia una forte crescita del comparto “siderurgico e metallurgico” (+29,0%) e di quello “meccanico” (5,3%). Dalla stessa fonte apprendiamo che nell’intero periodo esaminato (1996-2004) la produttività (v.a. per addetto a prezzi costanti) nel comparto “meccanico ed elettronico” è cresciuta del 21,6% e in quello “siderurgico e metallurgico” del 4,2%.

Vi è quindi materia per approfondire e per argomentazioni diverse, senza rinvii, anche per ragionamenti di politica industriale. La messa in opera di soluzioni per superare i limiti strutturali di produttività del settore metalmeccanico non può sempre essere rinviata a un futuro e a un luogo indefiniti, mentre le imprese cercano di incassare a breve risparmi su costo del lavoro e retribuzioni.

2) Vi è poi il capitolo dell’aumento del costo del lavoro per unità di prodotto (Clup). E qui va messo in evidenza che quello che di solito si considera  è il Clup nominale. Questo indicatore è dato (secondo Eurostat) dal rapporto tra retribuzione nominale per dipendente e produttività espressa in termini reali. Questa ultima, a sua volta, è data dal rapporto tra valore aggiunto e unità di lavoro totali. Quindi, come si vede, gli ingredienti sono molteplici Ora, come si sa, è stato avanzato più di un ragionevole dubbio in questi ultimi anni sulla corretta misurazione statistica dell’input di lavoro. L’aumento dell’occupazione a seguito dell’emersione di lavoro sommerso e della regolarizzazione di lavoratori immigrati potrebbe infatti aver concorso a determinare una sottostima dell’effettiva evoluzione della produttività: fonti come Mediobanca, ad esempio, danno per il manifatturiero incrementi della produttività più consistenti di altre.

Ma il punto che qui interessa è che proprio nell’ottica di una politica dei redditi avrebbe assai più senso considerare il Clup reale (ovvero deflazionato) che quello nominale. Si vedrebbe allora come il Clup reale in generale sia diminuito, non aumentato, nel 2004 e negli anni precedenti: un risultato certo presente anche in altri paesi industrializzati che pone però sotto una luce diversa i problemi di cui si discute. Oltretutto il Clup reale – come si ricorda nell’Osservatorio sull’industria metalmeccanica, pubblicato dalla Fiom – rappresenta un indicatore di come i guadagni di produttività vengono ripartiti tra retribuzioni e profitti. E qui, ancora una volta, il discorso si arricchisce di angoli visuali diversi.

Le notazioni potrebbero proseguire ricordando, ad esempio,  in materia di prezzi, come l’Istat per il 2004 rilevi un significativo incremento dei prezzi alla produzione nel settore metalmeccanico del 4,4% (3,3% nei primi sette mesi del 2005).Si tratta certo di un andamento legato soprattutto alla siderurgia, ma non solo. Resta comunque il fatto che le sue ricadute andrebbero meglio esaminate.

 

Gianni Ferrante

Responsabile Ufficio economico Fiom-Cgil