L’Italia nella competizione tecnologica

 

1. Il tema della competitività non è per l’Italia uno di quelli da cui si traggono particolari soddisfazioni. Ciò nonostante la sua centralità obbliga a farvi riferimento, a tenere aperte fonti di informazione e canali di riflessione.

Il volume che qui consideriamo, L’Italia nella competizione tecnologica internazionale. Terzo Rapporto (Franco Angeli, Milano 2002), a cura dell’Enea, dell’Università di Roma, del Cespri e del Politecnico di Milano, offre molti spunti e dati per tornare sulla questione. Vediamone alcuni.

2. L’Europa (confrontata con Usa, Giappone e Nics) pur partendo da posizioni di predominio segnala nel tempo crescenti difficoltà. Dopo la sfida del nucleare (anni 50 e 60) e quella dello spazio, rimasta poi una questione extra Ue (salvo la Francia), l’eliminazione delle barriere doganali ha favorito gli scambi interni ma anche i produttori esteri.

Sino a tutta la metà degli anni 90 l’Europa ha continuato a perdere quote sui mercati dei prodotti ad alta tecnologia, passando dal 41% della metà degli anni Ottanta al 36% del ’98, con andamenti fortemente differenziati per paese e settore.

Infatti i singoli paesi hanno teso ad accentuare la propria specializzazione settoriale: Francia/aerospazio, Germania/automazione ed elaboratori informatici, Gran Bretagna farmaceutica e componentistica elettronica, Svezia farmaceutica e apparati perle telecomunicazioni.

Se si guarda al contenuto innovativo dei prodotti ad alta tecnologia (a.t.) attraverso il rapporto tra quota percentuale nei brevetti mondiali e nel commercio internazionale, si vede confermata la debolezza europea. 

3. L’Italia vede dal canto suo confermata la specializzazione tecnologico-commerciale nei settori tradizionali, a bassa intensità di innovazione tecnologica, registrando relativi successi nella meccanica strumentale. La seconda metà degli anni 90 non indicano un’inversione di rotta, quanto piuttosto la conferma di un’esclusione tecnologica strutturale.

La quota italiana alle esportazioni di manufatti mondiali ad a.t. è stata nel ’98 del 2,94%, in continua contrazione nel corso del decennio (2,94% nel ’92).

Il deficit commerciale italiano nel comparto high tech si è ridotto verso la metà degli anni 90 per effetto del deprezzamento della lira, della bassa dinamica del Clup e della stagnazione della domanda interna, ma venute meno queste condizioni ha ripreso ad accelerare.

La divergenza della specializzazione produttiva italiana da quella degli altri principali paesi europei si riflette nella composizione del saldo commerciale manifatturiero. Mentre per quasi tutti i paesi europei l’avanzo del comparto high tech si rivela sempre più importante rispetto a quello medio o basso, che in casi non rari è perfino in deficit, l’Italia compensa il disavanzo del commercio do beni h.t. con positivi ma decrescenti avanzi nei settori a medio-bassa tecnologia.

Anche relativamente ai paesi dell’Est europeo l’Italia vede aumentare la propria despecializzazione tecnologica: nel ’98 è provenuto dall’Est europeo il 10,8% delle importazioni italiane di beni di consumo a media e bassa tecnologia.

I saldi negativi registrati dall’Italia nell’h.t. nei confronti delle aree economiche più sviluppate – dato costante per tutti gli anni 90 – nella seconda metà del decennio si mostrano meno accentuati verso gli Usa mentre verso i paesi dell’Ue segnano un peggioramento.

Anche gli altri paesi europei presentano dei saldi deficitari nei confronti degli Usa, del Giappone e dei Nics per quanto riguarda il commercio di beni h.t., ma all’interno dell’Unione europea presentano degli avanzi commerciali.

Pur presentando un lieve miglioramento, la percentuale dell’Italia sul totale dei brevetti mondiali si mantiene modesta (3,6% nel ’98-99 contro il 3,3% del ’96-97)). La percentuale dei brevetti nei settori ad alta tecnologia, invece, oltre ad essere inferiore, si riduce ulteriormente nel corso della metà degli anni 90, dal 2,0% del biennio ’96-97 all’1,8% del ’98-99, confermando e aggravando la "despecializzazione" italiana in questi settori.

4. A proposito della dinamica espansiva degli investimenti diretti esteri (Ide) in uscita (ovvero verso l’estero) dell’alta tecnologia italiana va detto che questa si è raffreddata ed è stata alimentata soprattutto dalle piccole e medie imprese, operanti prevalentemente in nicchie di mercato, che anche quando raggiungono l’eccellenza tecnologica, sperimentano spesso limiti finanziari, manageriali e dimensionali nell’impostare e nell’attuare strategie di insediamento produttivo multinazionale.

5. Tra le posizioni di vantaggio competitivo dell’Italia, il settore dell’automazione industriale si conferma come area di sostanziale specializzazione del paese lungo un percorso di recupero della quota sul commercio mondiale e di quella relativa all’attività brevettale.

L’aerospazio ha mostrato una flessione non irrilevante soprattutto se confrontata con i risultati riportati dai maggiori paesi europei specializzati nel settore.

Non muta la direzione e l’intensità del processo di despecializzazione nei settori della filiera elettronica che nella seconda metà degli anni 90 si evidenzia come unico ambito di sostanziale allineamento tra l’Italia e i paesi dell’Unione europea.

Meno incisive appaiono le perdite sul mercato mondiale nell’ambito degli apparecchi elettromedicali – con una diminuzione nel decennio pari al 6,5% della quota di mercato – mentre è rilevante la perdita di quote di mercato dei componenti elettronici, il cui parziale recupero negli anni 90 deve essere ricondotto all’attività della partecipata italo-francese St Microelectronics.

Soprattutto nei confronti con l’Ue, i dati relativi alle telecomunicazioni indicano un indebolimento degli indicatori commerciali nel decennio. L’Italia sembra allontanarsi a una presenza nel settore, contrariamente agli altri paesi della Ue. Con l’esclusione di Spagna e Paesi Bassi, i maggiori paesi europei registrano consistenti avanzi commerciali negli scambi di beni manufatti (in particolare Svezia e Finlandia).

6. Con riferimento al territorio, la crisi competitiva del Nord-Ovest appare in tutta la sua evidenza (perdita, ad esempio, di poli dell’elettronica come Torino e Milano) nell’andamento dell’export di h.t. che, con un tasso di crescita medio annuo costantemente inferiore alla media nazionale, ha dato luogo, a partire dal ’95, ad una quota sull’export nazionale inferiore a quella relativa al totale manifatturiero e pari nel 1998 a circa il 50%, con una perdita in tre anni di oltre dieci punti percentuali.

Alla crisi del Nord-Ovest le positive dinamiche produttive e tecnologiche del Nord-Est continuano a contrapporsi con ulteriori accentuazioni nell’ambito delle aree del Triveneto, soprattutto per quanto riguarda il Friuli.

Parallelamente un notevole impulso si è registrato nel Centro (in particolare il Lazio dal punto di vista commerciale).

Lo sviluppo di questa area non appare del tutto isolato rispetto a quello che ha interessato nel Sud Campania e Abruzzo.

7. La conclusione che se ne trae è che non solo non varia il modello di specializzazione, ma vi è una più forte polarizzazione settoriale rispetto all’inizio del decennio, con una tendenziale divaricazione rispetto all’Ue. Siamo di fronte a un modello guidato in prevalenza da fattori inerzialmente collegati alla competitività di prezzo.

Dal punto di vista economico generale il problema è amplificato dal fatto che i settori tradizionali e quelli dell’automazione industriale si confrontano con mercati vicini alla saturazione e con un’agguerrita concorrenza.

I curatori del "Rapporto" (336 pagine) sono Sergio Ferrari, Paolo Guerrieri, Franco Malerba, Sergio Mariotti, Daniela Palma.

Dicembre 2002