Sulla questione salariale

 

Nell’ultimo fascicolo dell”Osservatorio sull’industria metalmeccanica” (n.15, giugno 2005) abbiamo dato conto, come di consueto, dell’evoluzione recente degli aspetti salariali, di reddito e dell’inflazione legati alla condizione dei lavoratori. In un passaggio (pag. 2, nota 6) viene anche citato un lavoro di Leonello Tronti (Responsabile Istat delle statistiche congiunturali sull’occupazione e i redditi). Riteniamo qui utile ritornare sull’argomento riportando la sintesi di un breve saggio pubblicato dallo stesso Tronti sul sito: www.lavoce.info.it (Una nuova questione salariale).

Sugli stessi argomenti ci permettiamo di rinviare anche al fascicolo n. 11 (febbraio 2003) dell”Osservatorio sull’industria metalmeccanica (G.Ferrante, L’inflazione reale e programmata negli anni Novanta e i rinnovi contrattuali nazionali dei metalmeccanici).

Tronti parte dall’assunto – ormai largamente condiviso tra gli economisti – che dopo gli accordi del luglio ’92 e ’93 la dinamica delle retribuzioni italiane è stata estremamente moderata.

L’autore passa quindi ad un esame distinto delle retribuzioni contrattuali e di quelle di fatto.

Le prime , per loro caratteristica, si avvicinano a rappresentare meglio gli effetti della contrattazione nazionale; le seconde includono gli effetti della contrattazione decentrata ( più la cassa integrazione,  gli straordinari, le modifiche nella composizione dell’occupazione).

Tronti osserva come nel periodo 1993-2004 il potere d’acquisto definito dalla contrattazione nazionale sia aumentato negli anni tra il ’96 e il ’99 e nel 2004; si è invece ridotto tra il ’93 e il ’95.e nel quadriennio 2000-’03 con il passaggio dalla lira all’euro e la ripresa dell’inflazione.

Nella media dell’intero periodo – secondo Tronti – la retribuzione contrattuale ha subito un’erosione valutabile in circa 2 decimi di punto l’anno.

Inoltre dal 2001 vi è stato un progressivo allontanamento dei tassi d’inflazione programmata da quella effettiva, con la conseguenza di spingere verso l’alto le rivendicazioni salariali.

Ciò è avvenuto –ricorda l’autore – in modo evidente nel 2004, quando la crescita salariale ha sopravanzato la dinamica dell’inflazione programmata di 1,2 punti percentuali e quella dell’inflazione di 7 decimi di punto (e la tendenza è proseguita nel I trimestre del 2005).

E nonostante l’accelerazione, la dinamica complessivamente negativa dei periodi precedenti è stata tale che, misurato a prezzi costanti (quindi deflazionati Foi), il valore della retribuzione contrattuale media del 2004 è ancora inferiore di 2,9 punti percentuali rispetto a quella del ’92!

Tale situazione –aggiunge Tronti – non sarebbe straordinaria nell’ottica del Protocollo del 23 luglio se il sistema delle relazioni industriali fossa riuscito ad assicurare una diffusione e un tenore della contrattazione decentrata tali da assegnare alle retribuzioni di fatto se non la totalità, almeno gran parte dei guadagni di produttività realizzati dalle imprese.

I dati sull’indagine della Banca d’Italia sulle imprese manifatturiere e di quella Istat sulla struttura delle retribuzioni concordano nell’indicare che il secondo livello contrattuale ha raggiunto una certa diffusione solo nelle aziende medio-grandi del Centro-Nord.

Lo slittamento salariale (differenza tra retribuzioni di fatto e retribuzioni contrattuali, c.vo nostro) si è mosso dal ’97 ad oggi seguendo più o meno oscillazioni cicliche intorno allo zero.

In corrispondenza con il mancato sviluppo (e poi con la caduta) della contrattazione di secondo livello, le retribuzioni lorde hanno segnato nel decennio un incremento reale medio annuo dello 0,5%, dovuto esclusivamente alla crescita del quadriennio 1998-2001.

Se poi si considera l’evoluzione delle retribuzioni nette (su cui si misura l’effettiva capacità di spesa dei lavoratori) dopo il ’93, si avvalora la percezione di impoverimento di operai e impiegati: nell’intero decennio la crescita complessiva è stata pari soltanto allo 0,8% e l’accelerazione successiva al ’97 è appena riuscita a far si che nel 2003 le retribuzioni nette riacquistassero, in media, il livello reale che avevano nel ’90.

Facendo una comparazione internazionale, tra il ’96 e il 2002 le retribuzioni nette hanno segnato in Italia una crescita reale largamente meno favorevole non soltanto di tutti e 15 i paesi dell’Unione europea, ma anche di tutti i paesi di nuova accessione, esclusa Cipro (dati Ocse).

Per le imprese – prosegue Tronti - la retribuzione, misurata in termini di valore della produzione non è cresciuta tra il ’93 e il ’97, mentre la produttività cresceva, in media, del 2,1%. Nei quattro anni successivi (’98-2001) la dinamica della produttività ha subito un notevole rallentamento e poi una contrazione nel biennio successivo: ma la differenza in valore assoluto tra i due indicatori è continuata a crescere fino al 2001.

Le cose non sono andate così per i profitti e i redditi da lavoro autonomo, che hanno vissuto fino al 2001 una stagione di notevole sviluppo.

Negli anni ’90 l’evoluzione dei modelli di consumo è stata trainata soprattutto dai redditi più elevati, ed è di conseguenza aumentata la distanza tra i consumi più opulenti di professionisti e autonomi e quelli più poveri di operai e impiegati. Tra il 1993 e il 2004 mentre l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi) è cresciuto in media del 2,8% l’anno, il deflatore dei consumi (che rappresenta l’evoluzione del prezzo medio di quanto viene consumato da tutte le famiglie) è aumentato del 3,2%: quattro decimi l’anno cumulandosi su più anni e sommandosi alla stagnazione dei salari hanno certamente favorito un processo di impoverimento.

(Sintesi liberamente ricostruita da G.Ferrante)