Costo del lavoro e retribuzioni

 

1. Presentato al Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), a Roma, il 18 dicembre 2002, il Rapporto su Contrattazione, retribuzioni e costo del lavoro in Italia 2000-2001.

Il Rapporto è stato curato dal Cnel sulla base dello studio effettuato dal Cesos (Centro di studi economici sociali e sindacali), centro tradizionalmente di area Cisl.

Si tratta di un Rapporto assai ampio (oltre 350 pagine) di cui qui riferiamo solo sul paragrafo relativo a Costo del lavoro e retribuzioni, a cura del Ref di Milano (De Novellis e Vignocchi).

Il Rapporto è formato dai seguenti capitoli: a) Evoluzione del dialogo sociale e prospettive dei modelli contrattuali in Europa; b) Evoluzione degli assetti contrattuali e attività negoziale in Italia; c) Evoluzione degli istituti contrattuali: la disciplina negoziale dei rapporti di lavoro; d) Costo del lavoro e retribuzioni; e) Approfondimenti tecnici.

2. Importanti fatti si sono svolti nel biennio 2000-01, anni cui si riferisce il Rapporto. Nonostante l’introduzione dell’euro e l’aumento del prezzo del petrolio – dicono gli autori- l’inflazione è rimasta su livelli relativamente contenuti (ma noi sappiamo che c’è un’ampia sottostima, ndr). Cambiamenti si sono avuti nel mercato del lavoro. Tra 1999 e 2001 sono stati creati oltre un milione di posti di lavoro nell’intera economia (altro è valutarne la qualità, ndr). Il tasso di disoccupazione si è ridotto dal massimo dell’11,9% di fine ’98 al 9,2% di fine 2001.

I lavoratori “atipici”hanno avuto un peso rilevante nell’incremento dell’occupazione degli ultimi anni.

Inflazione programmata ed effettiva. La politica dei redditi ha avuto come riferimento quasi decennale il tasso di inflazione programmato (tip). Dal ’97 l’inflazione si colloca su valori contenuti e non distanti da quelli europei; quindi – si sostiene – il tip è oggettivamente ridimensionato.

Si potrebbe descrivere il ruolo che il tip ha assolto negli anni 90 come un tentativo di includere tale variabile nella funzione di determinazione del salario del sistema, sostituendo con esso il tasso di inflazione atteso.

Anche l’adesione alla moneta unica ha di fatto modificato il ruolo strategico del tip (azzeramento delle aspettative di deprezzamento del cambio e diminuzione del potere di mercato delle imprese esposte alla concorrenza).

Si può assumere – ricordano gli autori – che il vero target per la contrattazione è oggi costituito dagli obiettivi (in termini di inflazione desiderata) della Banca centrale europea.

Un’evidenza proveniente dai dati è che tra il ’97 e il ’99 l’obiettivo di inflazione dei precedenti Dpef è stato sostanzialmente rispettato (e ciò ha significato un preludio all’abbassamento della dinamica delle retribuzioni contrattuali).

 Da incrementi superiori al 3%, si è passati a dinamiche intorno all’1,7% per tre anni consecutivi.

C’erano le premesse per un abbassamento stabile della nostra inflazione. Invece nel 2000 (2,5%) e nel 2001 (2,7%) si verifica un nuovo innalzamento dell’inflazione (la previsione per il 2002 è almeno del 2,5%, ndr)

L’innalzamento non ha origini interne specifiche; si verifica in tutti i paesi dell’area euro.

Si riapre però la vertenza sul recupero del differenziale tra inflazione effettiva e programmata.

Nel biennio l’inflazione cumula una crescita del 5,2%.

I singoli contratti nazionali, essendo stati rinnovati in epoche diverse, non hanno incorporato gli stessi valori di tip per il biennio 2000-2001. Può essere stato l’1,5% del Dpef ’98 o l’1,2% del Dpef del ’99. Allo stesso modo per il 2001, si può avere l’1,1% del 1999 o l’1,7% del Dpef successivo.

Come affermano gli autori in un'altra versione di questo stesso lavoro (Congiuntura Irs, dicembre 2002): dal 2002 l’inflazione è rimasta ancorata su valori prossimi al 2,5/3% a fronte di obiettivi governativi che hanno continuato a ribadire programmi di rientro su valori di poco superiori all’1% … ed è proprio dal ’99 che si registra una più marcata convergenza fra dinamica delle retribuzioni contrattuali e tip governativi. Ovvero l’inflazione si è posizionata sistematicamente al di sopra del tip proprio quando i salari si sono maggiormente allineati ad esso.

Aggiungono gli autori che eredità della politica dei redditi non è tanto il fatto che le retribuzioni contrattuali sono cresciute poco meno dei prezzi, ma piuttosto la tendenziale divaricazione che è emersa tra le due variabili proprio quando il percorso di rientro del nostro tasso di inflazione si è completato.

3.  Tornando al contributo presentato dagli autori in sede Cnel ci soffermiamo sul tema dell’evoluzione dei salari reali, la cui crescita dovrebbe essere favorita dal recente calo della disoccupazione. Invece il confronto tra la dinamica delle retribuzioni di fatto (Contabilità nazionale) e i tassi di inflazione al consumo mostra come nel corso dell’ultimo biennio, i salari reali abbiano registrato una significativa compressione (nulla nel 2000 e –1% nel 2001). Si tratterebbe secondo gli autori di un processo coerente con la perdita di “ragioni di scambio” e comunque di un fenomeno transitorio da addebitare sostanzialmente alla decelerazione della produttività del lavoro (vedi soprattutto l’ingresso di lavoratori atipici, che presentano più contenuti livelli di produttività).

4. A questo insieme di tematiche appartiene anche la questione delle implicazioni redistributive.

Di fronte a una sostanziale tenuta del meccanismo di politica dei redditi in termini di retribuzioni pro capite, l’osservazione di medio periodo mette in evidenza uno spostamento progressivo della distribuzione del reddito a favore del capitale. Le spiegazioni possono essere molteplici: effetti di composizione settoriali, ritardi nell’aggiustamento della domanda di lavoro e capitale, sviluppi tecnologici sfavorevoli al lavoro, un innalzamento dei margini di ricarico da parte delle imprese. Sembra comunque di osservare nel periodo più recente qualche primo sintomo di rientro di questo fenomeno.

 

dicembre 2002