Strategia per una ripresa possibile

(di P.L. Bersani e A. Bianchi): una sintesi

 

La Rivista di Nens (Nuova economia Nuova società), Associazione fondata da P.L. Bersani e V.Visco, ha recentemente pubblicato (n.11, aprile 2005) un contributo dal titolo “Strategia per una ripresa possibile”,che contiene anche alcune proposte di politica industriale. Ne riportiamo un riassunto, rinviando al sito per la lettura dell’intero testo (www.nens.it).

Tralasciamo quasi completamente la parte del documento che compie un’analisi dello stato dell’economia e dell’industria italiana, elementi su cui esiste ormai una larga convergenza (vedi n proposito i fascicoli dell’”Osservatorio sull’industria metalmeccanica”, Fiom, Ufficio economico).

E’ comunque nostra intenzione continuare nella presentazione di materiali, al fine di contribuire all’arricchimento/aggiornamento della proposta della Fiom-Cgil sulla politica industriale.

La crisi di competitività del sistema produttivo italiano riguarda in particolare il settore industriale.

Mai prima di oggi la crisi si era prolungata per un periodo così lungo. Dal 2001 il livello dell’attività produttiva italiana è costantemente arretrato mentre nell’area euro è cresciuto.

Nel corso degli ultimi due anni gli addetti della grande impresa si sono ridotti del 13% (-110mila posti di lavoro).

Alla crisi della grande impresa (che si trascina da oltre 10 anni), si è aggiunta nell’ultimo triennio una forte difficoltà che interessa tutti i settori del made in Italy.

Il negativo andamento delle esportazioni italiane rappresenta lo specchio più fedele della perdita di competitività sui mercati internazionali. Tale andamento ha progressivamente eroso la nostra bilancia commerciale che nel 2004 è tornata in rosso dopo oltre 14 anni consecutivi di attivo.

In questo contesto è in atto una profonda fase di trasformazione dello stesso modello di sviluppo per i sistemi di piccola impresa: si indeboliscono le relazioni produttive sul territorio, si allungano le filiere di prodotto, sia a monte verso la ricerca, sia a valle verso la commercializzazione, si stempera la vocazione manifatturiera con effetti rilevanti sulla tenuta dell’occupazione e della coesione sociale.

La perdita di certezze sul futuro, la crescita della conflittualità sociale, la paura di non farcela, rappresentano il tratto più evidente e preoccupante dell’attuale fase economica.

Per restituire la fiducia non serve nascondere i problemi.

Occorre riportare i problemi dell’industria al centro del dibattito politico ed economico e ridefinire i cardini di una nuova politica industriale.

Sul fronte difensivo appare necessario mettere in campo una strategia che sia in grado di fronteggiare la straordinarietà della situazione sul versante del commercio internazionale e allo steso tempo ridurre l’impatto sociale dei processi di ristrutturazione che per la prima volta stanno interessando in modo consistente il sistema delle piccole imprese.

Il punto più delicato riguarda la politica commerciale e la difesa dei prodotti italiani rispetto all’invasione delle produzioni extra Ue.

Si tratta di un problema concreto, ampiamente prevedibile, in quanto gli accordi sulla liberalizzazione degli scambi risalgono ad oltre 10 anni fa.

Occorre evitare di cadere in tentazioni protezionistiche che risulterebbero impraticabili e inadeguate.

L’emergenza cinese va affrontata con una serie di misure di contrasto che possono riguardare in primo luogo l’introduzione della tracciabilità dei prodotti finalizzata ad aumentare il grado di consapevolezza dei consumatori sulla provenienza delle merci acquistate e in secondo luogo avviando presso il Wto la procedura di salvaguardia prevista a fronte di aumenti abnormi delle importazioni di alcuni prodotti.

La via maestra per affrontare la questione della globalizzazione degli scambi non può comunque che essere quella di una crescita complessiva del contenuto innovativo delle merci prodotte.

Sempre sul piano degli interventi urgenti e finalizzati a minimizzare i costi dell’attuale situazione di difficoltà, appare necessario rivedere i meccanismi di funzionamento dei principali ammortizzatori sociali. Il nostro modello, costruito in una fase di grande protagonismo della produzione di massa, appare oggi incapace di gestire i nuovi bisogni che derivano dalla frammentazione del sistema produttivo e dalla segmentazione dei rapporti di lavoro. Per gestire una fase di ristrutturazione dei sistemi locali d’impresa e per allargare il sistema di tutela anche ai “lavoratori atipici” occorre disporre di nuovi strumenti di sostegno al reddito.

L’azione di sostegno ai settori più tradizionali non può prescindere da un’azione forte sul fronte della riduzione dei costi di produzione.

In una fase di grave difficoltà gli sforzi di riduzione fiscale devono essere concentrati sul mondo delle imprese e del lavoro. Ciò vale in particolare per i settori labour intensive che scontano una struttura degli oneri sociali che tiene alto il costo del lavoro in presenza di retribuzioni nette molto contenute.

Le risorse disponibili quindi devono essere orientate verso una consistente riduzione del cuneo fiscale accompagnata da una contrazione delle imposte sulle imprese e dell’Irap.

Accanto a queste misure urgenti occorre puntare su alcuni obiettivi di medio/lungo periodo per spostare il baricentro produttivo verso i settori più tecnologicamente avanzati.

1.Consolidamento delle condizioni macroeconmiche di stabilità che consentano di favorire un forte rilancio degli investimenti produttivi anche a medio e lungo termine.

2. Ricomposizione del sistema delle imprese e crescita di una nuova elite industriale in grado di guidare i processi di sviluppo del Paese.

3. Rafforzamento dei meccanismi di innovazione e trasferimento tecnologico.

4. Inserimento dell’industria italiana nell’ambito dei grandi progetti di ricerca europei nei settori ad alta tecnologia.

In questa direzione si sono mossi i governi di centro sinistra garantendo una fase di rigore finanziario che ha garantito prima la graduale riduzione dei tassi d’interesse e poi la stabilità dei cambi con l’ingresso all’interno della moneta unica. L’avvio di importanti liberalizzazioni di settori strategici come quello delle tlc, dell’energia e dei trasporti, l a razionalizzazione del sistema degli incentivi alle imprese e il recupero dell’evasione fiscale, completano il quadro di una strategia mirata alla riqualificazione del sistema produttivo.

Il secondo obiettivo riguarda la ricomposizione del sistema delle imprese.

L’Italia non ha oggi leader mondiali nell’automobile, nella chimica, nelle banche, nelle assicurazioni e nei settori della new economy, mentre può vantare una posizione di primo piano in alcuni macro comparti quali la moda, l’arredo casa, l’alimentazione mediterranea, la chimica fine e la meccanica.

Una recente indagine di Mediobanca ha confermato come le medie aziende italiane rappresentino oggi il segmento più dinamico del sistema produttivo con tassi di crescita e di redditività molto superiori rispetto alle grandi e alle piccole imprese.

Purtroppo questo segmento non riesce a fare sistema assumendo un ruolo di leadership industriale e culturale del Paese.

Un ruolo importante dovrebbe essere quello di consolidare tale nucleo di imprese consentendo al Paese di ricostruire una vera elite industriale in grado di guidare i processi di modernizzazione del Paese

La crescita della posizione di leadership delle medie imprese richiede anche la riqualificazione dell’intero sistema della subfornitura.

La sfida del futuro è quella di coniugare la delocalizzazione eproduttiva delle fasi di minore valore aggiunto con il potenziamento delle prospettive occupazionali sul territorio.

Per fare questo occorre avere sistemi di imprese con un corpo più piccolo (la fase manifatturiera tradizionale) e una testa più grande (le fasi a monte e a valle del processo produttivo).

Progettazione, pianificazione strategica, design, ricerca sui nuovi materiali, sviluppo dei prototipi, marketing, commercializzazione, sono le funzioni aziendali da mantenere sul nostro territorio al fine di favorire la crescita della competitività e innalzamento dei contenuti professionali del lavoro.

L’altro grande tema della politica industriale riguarda l’innovazione tecnologica e la ricerca.

Occorre superare il modello dell’innovazione incrementale e puntare con decisione verso l’innovazione radicale di prodotto. Si tratta di allargare le filiere tradizionali alle nuove tecnologie trasversali che possono arricchire il contenuto tecnologico delle nostre produzioni.

Se nel passato la competitività italiana è stata il risultato del positivo incontro tra i produttori di beni di consumo e quelli della meccanica, oggi occorre favorire nuovi incontri tra i settori dei beni di consumo e quelli dell’elettronica, delle biotecnologie e dell’Itc.

Accanto alla riqualificazione del tessuto produttivo attuale occorre poi aumentare la nostra presenza nei settori a più alto contenuto di ricerca e sviluppo.

Lo sviluppo di grandi progetti europei nei settori della difesa, dell’aeronautica, dello spazio e delle telecomunicazioni rappresentano una straordinaria opportunità anche per le imprese italiane a patto che il governo sia disposto a investire in questi settori e a tutelare all’interno di questi gli interessi dell’industria nazionale. L’Italia è stata troppo volte assente dalle grandi sfide industriali che si sono realizzate in Europa a partire dall’Airbus. Occorre rafforzare la nostra partecipazione a grandi progetti comunitari (ad esempio, il progetto Galileo, che si stima potrà generare 15mila nuovi posti di lavoro in settori high tech) o stimolare nuove aggregazioni industriali di respiro internazionale in settori strategici per il nostro sistema produttivo dalla cantieristica all’auto.

(sintesi liberamente realizzata a cura di G.Ferrante)