Tfr, risposte a macchia di leopardo di fronte a un cambiamento profondo

Articolo di G. Ferrante

"l'Unità", 22 giugno 2007

Mancano ormai solo dieci giorni alla fine del semestre dedicato alla scelta sulla destinazione del Trattamento di fine rapporto (Tfr). Diversi quotidiani nelle ultime settimane hanno dato anticipazioni sull’esito di questa campagna fornendo però indicazioni contrastanti sul grado di nuove adesioni ai Fondi. Si è andati da valutazioni pessimistiche (+9%), a percentuali più positive (25%). Come si vedrà, la media finale sarà la risultante di risultati molto differenziati;  certo è che le stime ministeriali avanzate all’inizio (40%) sembrano aver peccato di ottimismo nei confronti di una vicenda in realtà molto complessa.

Bisognerà attendere la fine di luglio o di settembre per avere un quadro attendibile dei risultati in termini di adesione ai Fondi o di conferma della permanenza del Tfr in azienda. Infatti è proprio in questo scorcio di giugno, all’ultimo momento come spesso accade, che molti lavoratori faranno la loro scelta e che molte imprese invieranno le schede finora raccolte. Poi, dopo il 30 giugno, si dovranno raccogliere anche le adesioni (tacite) ai Fondi di coloro (silenti) che non hanno espresso la propria volontà esplicitamente. Un conteggio che richiederà tempo, dentro al quale finiscono per ritrovarsi scelte con motivazioni diverse.

Il sindacato nel suo insieme ha sviluppato in questi mesi un lavoro enorme per informare i lavoratori attraverso migliaia di assemblee (partecipate come non si vedeva da tempo) nei luoghi di lavoro al fine di agevolare scelte consapevoli. I metalmeccanici, che abbiamo seguito da vicino, salvo qualche frangia hanno lavorato intensamente per informare sulla legge in questione e sui Fondi istituiti dalla loro stessa categoria (Cometa, Fondapi, Artifond). Anche i Fondi negoziali hanno partecipato a questo sforzo investendo risorse e competenze, collaborando all’informazione in giro per l’Italia. Con un certo ritardo è invece  arrivata l’informazione istituzionale e sicuramente avrebbe giovato un più visibile apporto dell’associazione dei Fondi (Assofondi).

Ma il Paese presenta, come si sa, forti difformità al suo interno e il ruolo svolto dal sindacato in questa vicenda, per quanto diffuso, ha comprensibilmente rispecchiato i caratteri del suo insediamento, sviluppando – con tutte le eccezioni del caso – iniziativa soprattutto nella media e grande industria, nel Centro-Nord (con l’eccezione, ad esempio, delle aree industrializzate del Sud) e nelle maggiori realtà dei servizi. La piccola impresa, così diffusa in Italia, si è rivelata l’ambito più difficile da coinvolgere, per la ridotta taglia delle strutture e per la fragilità delle relazioni sindacali. E’ forse mancato un sufficiente coinvolgimento delle rappresentanze di questi settori tale da conquistarne un’effettiva, attiva, partecipazione al progetto della previdenza complementare.

I  Fondi non sono certo  operativi da ieri ma ormai da diversi anni. Resta il fatto che gli ultimi cinque o sei hanno visto un continuo, instabile travaglio legislativo e quindi il semestre che sta volgendo al termine non è poi stato un tempo così lungo per organizzare una piena, razionale risposta ad un cambiamento profondo – culturale ed economico – nei comportamenti dei lavoratori dipendenti privati rispetto ad un tema come quello previdenziale.

Quindi dopo il 30 giugno il lavoro per lo sviluppo della previdenza complementare dovrà necessariamente continuare. A fronte della generalizzazione del  sistema contributivo, sempre più  giovani generazioni avranno bisogno d’integrare la pensione pubblica. A maggior ragione – dopo la verifica sui numeri –  le parti sociali e  le istituzioni dovranno impegnarsi per  rendere effettivamente accessibile a tutti la fruizione di questo diritto.