Il manifesto

La produttività bassa e stagnante c'entra molto poco con i salari troppo bassi

Fernando Vianello

 

Il mondo va davvero alla rovescia, se a sollevare la questione dei bassi salari sono i banchieri centrali e i ministri delle Finanze. Ha cominciato Bernanke, parlando alla Camera di Commercio di Omaha, Nebraska, il 6 febbraio 2007. La diseguaglianza dei redditi, ha osservato, è la grande molla del progresso economico; troppa diseguaglianza, tuttavia, può essere pericolosa, perché erode il consenso intorno al modello sociale: «Se non poniamo qualche limite ai rischi di cadere in basso sopportati dagli individui colpiti dal cambiamento economico, l'opinione pubblica può divenire meno disposta ad accettare il dinamismo che è così essenziale al progresso economico».

Dell'imponente redistribuzione del reddito ai danni del lavoro dipendente ha preso atto anche il Comitato dei ministri delle Finanze europei (Ecofin), che ha affermato pubblicamente che ai lavoratori va riconosciuto il «dividendo» della crescita. Il presidente di turno dell'Ecofin, il tedesco Steinbruek, ha rilasciato una dichiarazione che riecheggia le parole di Bernanke: «Se negli anni... si registra una perdita netta dei salari mentre esplodono i profitti delle imprese, arriveremmo a una crisi di legittimità del modello dell'economia sociale di mercato». Per parte sua, il commissario Ue agli affari economici, Almunia, aveva precedentemente dichiarato che «La parte dei salari nel reddito globale degli stati è oggi al livello più basso da molti anni, e questa è una situazione insostenibile» (Il Sole-24Ore, 27 febbraio 2007).

Nella lezione inaugurale tenuta alla riunione annuale della Società italiana degli economisti (Torino, 26-27 ottobre 2007) il governatore della Banca d'Italia ha richiamato l'attenzione sul fatto che i salari italiani sono più bassi, e non di poco, dei salari francesi, tedeschi e inglesi: fra il 30 e il 40 per cento, calcola il governatore, se parliamo delle retribuzioni medie orarie, a parità di potere d'acquisto, nell'industria e nei servizi privati. Ma di una redistribuzione del reddito a danno dei lavoratori Mario Draghi non ha parlato. Diversamente che nel resto del mondo, egli ritiene, che in Italia i salari sono bassi e stagnanti perché bassa e stagnante è la produttività.

Prima di discutere questa diagnosi, vorrei ricordare quel che è sotto gli occhi di tutti. E cioè che anche in Italia i profitti sono elevatissimi e che sono ormai sono le imprese, con in testa la Fiat, a fare spontaneamente piccole elargizioni ai lavoratori, cortocircuitando il sindacato (e smentendo in anticipo il governatore della Banca d'Italia). Clamoroso è poi il caso di quel piccolo industriale marchigiano che, dopo aver provato a vivere un mese con 1000 euro (più altri 1000 assegnati alla moglie), ha deciso di dare 200 euro netti di aumento ai suoi dipendenti (la Repubblica, 21 ottobre 2007).

Il tema della lezione del governatore è l'andamento dei consumi interni. Un grafico allegato al testo mostra che il consumo pro capite delle famiglie e il loro reddito disponibile pro capite sono aumentati di pari passo fra il 1980 e il 1992; poi il reddito disponibile è rimasto approssimativamente costante fino al 2006, mentre i consumi sono aumentati fino al 2000 per poi restare anch'essi costanti. A me sembra che il grafico ci dia la seguente informazione. L'impoverimento di un'ampia percentuale della popolazione ha prodotto inizialmente (1993-2000) un aumento della quota del reddito disponibile destinata al consumo: quando il reddito reale si contrae, la reazione naturale, ben nota ai vecchi studiosi dell'argomento, è di difendere a tutti i costi gli standard di consumo consueti. Negli anni successivi, di fronte a un'ulteriore contrazione (siamo al tempo dell'introduzione dell'euro), ed essendo stato raschiato il fondo del barile quanto a possibilità di ridurre il risparmio corrente e di fare appello ai risparmi accumulati, molta gente si è rassegnata a ridurre i consumi. Le conseguenze sulla crescita non hanno tardato a manifestarsi. Un banchiere dal naso fino, Pietro Modiano, lo ha detto con chiarezza: «Se il Pil non è aumentato in questi cinque anni è stato a causa della bassa domanda interna» (Il corriere della sera, 16 novembre 2006).
Il governatore condivide viceversa l'idea, molto diffusa, che il ristagno della produzione dipenda dal debole aumento della produttività. Ma la produttività aggregata del lavoro è un concetto insidioso. Le statistiche della produzione industriale sono strutturalmente incapaci di cogliere il gigantesco processo di riconversione, internazionalizzazione e riposizionamento sui mercati nazionali e internazionali che ha attraversato e attraversa come un ciclone l'industria italiana. Per rendersene conto basta guardare i dati sulle medie imprese prodotti annualmente dall'indagine Mediobanca-Unioncamere.

Smettiamo dunque di dire che i salari reali sono bassi e non crescono perché bassa e stagnante è la produttività. E riconosciamo che vi è stata una gigantesca redistribuzione del reddito ai danni del lavoro dipendente, della quale hanno beneficiato sia i profitti, sia i redditi di importanti sezioni del ceto medio. E' un processo le cui conseguenze sociali preoccupano, come abbiamo visto, Bernanke e l'Ecofin. Se cominciassero a preoccupare anche il governatore della Banca d'Italia e gli economisti riuniti ad ascoltarlo non vi sarebbe, credo, nulla di male.

 

1 Novembre 2007