Gianni, Brar elettromeccanica, Mantova

Tornitore, ha 45 anni e lavora alla Brar dal 1980.

Come è iniziata la vicenda precontrattuale alla Brar, quando avete deciso che in fabbrica si poteva aprire la discussione?

Abbiamo proposto la piattaforma precontrattuale in luglio, quando in fabbrica c’era un carico di lavoro molto elevato, ma l’azienda ha risposto che non era disponibile alla discussione in quel momento. Allora abbiamo cominciato a fare gli scioperi – anche se già a maggio, dopo la firma dell’intesa separata, li avevamo fatti – ma diciamo che a luglio ci siamo organizzati meglio, con  scioperi articolati a fine turno, e sinceramente eravamo convinti che fosse sufficiente quello per sbloccare la situazione. Invece l’azienda ci ha dato una risposta negativa, adottando il criterio dell’indifferenza: cercava di fare finta di niente, ha fatto fare delle lavorazioni ad aziende esterne e ha spostato le consegne un po’ più avanti, sperando che, una volta passate le ferie, la protesta dei lavoratori si sarebbe smorzata. Invece a settembre abbiamo ripreso a fare gli scioperi un po’ più articolati, un po’ più mirati, non più a fine turno ma durante l’orario di lavoro, per spezzare il ritmo di produzione, e siamo arrivati a ottobre facendo oltre 60 ore di sciopero, anzi il mese di ottobre è stato il più duro, abbiamo fatto 19 ore di sciopero e a quel punto l’azienda ha cominciato a risentire della nostra azione di lotta.

L’adesione agli scioperi è stata alta?

Sì, anche se quando abbiamo cominciato, in luglio, tra i lavoratori c’era molto scetticismo, perché sulla giustezza delle richieste portate avanti dalla Fiom erano tutti d’accordo, ma sul fatto che si potesse arrivare a un accordo nella nostra fabbrica, ci credevano in pochi. Poi a settembre quando nel mantovano hanno cominciato a firmare i primi preaccordi, ad esempio alla Bondioli&Pavesi, i lavoratori si sono resi conto che anche da noi era possibile conquistare il precontratto, che si poteva fare, e l’adesione agli scioperi è stata molto alta. Le uniche lavoratrici che non hanno aderito erano state assunte a tempo determinato per pochi mesi, in effetti la  loro situazione era un po’ particolare. Poi in ottobre, nel corso di una delle ultime assemblee che abbiamo fatto, si è arrivati alla proposta di andare avanti e fare sciopero a oltranza, e quasi all’unanimità i lavoratori avevano accettato quella proposta: se non si fosse sbloccata la situazione saremo andati anche al blocco totale della produzione.

Durante le assemblee quale clima c’era tra i lavoratori, su quali temi discutevate maggiormente?

Era il complesso dell’accordo che ci interessava. Sicuramente la parte economica è stata importante, ma la cosa che ha unito di più i lavoratori è stato l’atteggiamento dei padroni: in un’azienda come la nostra, dove in genere si firmano i contratti aziendali senza neanche un’ora di sciopero, per dire, pensavamo che il preaccordo fosse fattibile, che non destasse problemi particolari, invece quell’atteggiamento di indifferenza che hanno dimostrato ci ha fatto un po’ arrabbiare, e penso che  abbia alzato l’adesione alla protesta.

Secondo te, qual è stato il motivo per questo comportamento di “chiusura” da parte dell’azienda?

Penso che l’azienda non volesse impegnarsi, non volesse assumersi la responsabilità di fare quell’accordo andando così contro il contratto già firmato a maggio. Ci rispondevano che esisteva un contratto nazionale firmato e non vedevano per quale motivo si dovesse modificare, visto che poi, quando era necessario, i contratti aziendali li facevamo.

Subivano delle pressioni anche loro, sicuramente, l’Associazione degli industriali ha fatto le proprie mosse anche nel mantovano come in altre parti, comunque l’atteggiamento era questo.

Qual è stato l’atteggiamento in fabbrica?

Un po’ ci pressavano perché eravamo in ritardo nella consegna dei lavori, considera che il nostro tipo di produzione prevede molta manualità, l’azienda aveva dei tempi di consegna da rispettare e anche se una parte di lavoro veniva svolta fuori, quando poi questa rientrava doveva comunque essere assemblata o rifinita, quindi poi ci facevano pressione perché si facesse il più presto possibile. Però durante tutto questo periodo abbiamo sempre continuato a parlare con l’azienda, a incontrarci, i rapporti sono rimasti abbastanza buoni.

Secondo me il loro atteggiamento era mirato a far passare questo momento, facendo finta di niente, aspettando che ci stancassimo. Ma sono stati loro a cedere, perché dopo le ferie si sono resi conto che non riuscivano più a consegnare la produzione e anche il rapporto con i lavoratori cominciava a essere teso, nel senso che collaborazione e comprensione ne avevano poca da parte nostra, ovviamente.

E cosa è successo?

A novembre, dopo lo sciopero nazionale del 7, abbiamo fatto un incontro nel quale abbiamo detto: “Non possiamo andare avanti in questo modo, cerchiamo di trovare una soluzione”. Hanno chiesto di parlare con Gianni Zatti, il segretario generale della Fiom di Mantova,  per avere dei chiarimenti su alcuni punti del precontratto, sulla sua durata ad esempio, dopo di che la trattativa si è avviata e a quel punto non ci sono stati grossi problemi, dopo una settimana ci hanno fatto una proposta nella quale l’unica cosa che abbiamo contestato è stato l’aumento: volevano farlo partire da gennaio 2004 senza riconoscere niente per il 2003, e questo non ci sembrava giusto, poi nell’ultimo incontro ci siamo accordati su due tranches, a ottobre 2003 e a gennaio 2004.

Che atteggiamento hai avuto durante questa vicenda?

Io ero convinto fin dall’inizio che bisognasse rilanciare il contratto nazionale, non quello che la Fim e la Uilm avevano firmato. Però ripeto, a luglio non vedevo da parte dei miei compagni di lavoro questa certezza di riuscire a fare l’accordo, c’è stata invece a settembre, quando si è visto che qualche azienda aveva già firmato il precontratto e da lì abbiamo preso coraggio e ci siamo detti che anche alla Brar c’erano le condizioni per farlo, questa è stata la spinta per intraprendere una lotta che è stata dura, se si tiene presente che abbiamo fatto in tutto 67 ore di sciopero: ci è costato, non è stato semplice. Ma i lavoratori ci hanno creduto, anzi se non si faceva sciopero per qualche giorno venivano a chiederci perché; sai, noi cercavamo di scegliere i momenti migliori per scioperare, quelli nei quali la produzione aveva dei picchi, per dare più peso all’iniziativa, ma poi a fine mese, quando si ritirava lo stipendio, le ore mancanti pesavano.

Come giudichi questa tua esperienza?

Mi pare che siamo riusciti a raggiungere un buon accordo. Magari avremmo potuto ottenere che i soldi ce li cominciassero a pagare da luglio anziché da ottobre, però nel complesso è andata bene, anche in azienda adesso le condizioni sono cambiate, non c’è più la tensione degli ultimi tempi insomma, e il dialogo è aperto, ci rendiamo conto che alcune difficoltà sono reali, non dipendono solo dall’azienda e cerchiamo di darci una mano.

Quest’estate, nonostante tutta la situazione, abbiamo fatto degli accordi che riguardavano il passaggio di livello di alcuni lavoratori e l’assunzione a tempo indeterminato di due lavoratori che avevano un contatto a tempo determinato, quindi non è che ci sia stato uno scontro duro su tutti i fronti, c’era però quell’atteggiamento di indifferenza che ci ha stupito: ripeto, consideravamo il preaccordo importante e pensavamo di essere nelle condizioni per farlo, non volevamo mancare quest’occasione.

Ne facevate una questione di democrazia, far valere i vostri diritti di lavoratori.

Esatto, infatti era una lotta per far valere sia la parte normativa che tutelava la nostra posizione come lavoratori all’interno dell’azienda – penso soprattutto ai giovani – sia la parte salariale.

Comunque sono molto contento per avere concluso il preaccordo, perché a un certo punto è stata una soddisfazione arrivare alla firma, dopo tutte quelle ore di sciopero e le altre che sicuramente sarebbero state fatte se non avessimo raggiunto l’obiettivo. Ho trovato una solidarietà che non mi aspettavo, anche da parte di alcuni lavoratori che – a loro non glielo ho mai detto –non credevo fossero così decisi in un momento particolare. Per esempio, alla manifestazione del 7 novembre a Roma siamo andati in 10 compagni, cosa che non è mai successa da noi, ed è stato un momento di solidarietà e di aggregazione molto forte.

Penso che anche questo sia servito molto e l’azienda, quando ha visto che tutti i lavoratori aderivano agli scioperi, ha capito che avevano a che fare con “questi” lavoratori, che erano i lavoratori della Fiom – se non iscritti comunque che aderivano alla nostra iniziativa – sì, è stato un buon momento. Ci sono state anche quattro nuove iscrizioni al nostro sindacato, significa che abbiamo agito bene, perché i lavoratori si sono resi conto che stiamo lavorando, che cerchiamo di proporci in modo positivo e questo ha contato. Io lavoro qui dal 1980 e in passato ci sono stati dei momenti in cui il sindacato non veniva più tenuto in considerazione, aveva poco peso, mentre in questo momento la Fiom è tenuta in forte considerazione.