Comitato
centrale Fiom-Cgil del 20 gennaio 2006 Gianni
Rinaldini,
segretario
generale della Fiom -
relazione
introduttiva
Questa
riunione del Comitato centrale è chiamata a esprimersi sull’ipotesi
di accordo siglata nella giornata di ieri. Non intendo ripercorrere i
diversi aspetti dell’ipotesi d’intesa, ma proporvi alcuni
ragionamenti. Al
momento della sigla dell’accordo abbiamo consegnato una lettera
sottoscritta dai tre segretari generali, nella quale è scritto che la
riserva per la validità dell’accordo sarà sciolta il giorno
successivo all’esito del referendum. Oggi
pomeriggio decideremo le date del referendum, prevedendo almeno tre
settimane da dedicare alle assemblee e una fase di sospensione in
concomitanza con il Congresso della Fiom che avrà luogo dal 7 al 10 di
febbraio. Trovandoci
in una riunione del gruppo dirigente mi limiterò a una serie di
considerazioni rispetto al testo che abbiamo definito. La prima è che
il giudizio sull’ipotesi di accordo che è stata stipulata deve avere
un carattere sì positivo ma non – lo dico così, brutalmente –
trionfalistico. Noi abbiamo acquisito un risultato estremamente
importante, da cui ripartire rispetto alla nostra iniziativa. E quando
dico questo metto al centro il ruolo delle rappresentanze sindacali e
della ricostruzione di una contrattazione vera sulle condizioni di
lavoro, sulla prestazione lavorativa, di cui è parte estremamente
rilevante la contrattazione dell’orario e dei tempi di lavoro. Sarà
questo non dico l’unico, ma uno degli assi centrali della nostra
discussione congressuale, nella quale dovremo chiederci se esiste un
futuro per la contrattazione e se sì, quale contrattazione. Questi
sono gli elementi emersi dalla lunga vicenda contrattuale, con un
aspetto principale che ha segnato tutto il nostro agire, nei diversi
passaggi della trattativa, che è stato quello di tenere fermo il ruolo
contrattuale delle Rsu in tutte le questioni che abbiamo affrontato. La
stessa vicenda dell’apprendistato è stata affrontata con questo
taglio: a un certo punto, nell’ultima fase – ad esempio – ci siamo
trovati di fronte alla scelta se ragionare sui livelli retributivi
minimi eguali a quelli dello sbocco finale, in termini di qualifica,
oppure se ragionare in termini di rapporto rispetto alla situazione
contrattuale nelle diverse aziende e cioè nella contrattazione
aziendale. Abbiamo scelto, anche rispetto a posizioni articolate tra di
noi, di intervenire sui minimi contrattuali e quindi sul terreno dei
livelli retributivi, perché la contrattazione aziendale può
intervenire sull’apprendistato per l’estensione degli altri aspetti
ma non sui livelli minimi contrattuali. Anche in questa scelta – e ho
usato non a caso l’esempio dell’apprendistato – è chiaro il tipo
di impostazione che abbiamo dato a tutta la trattativa. Ora
non c’è dubbio che sull’apprendistato noi ci troviamo di fronte a
soluzioni che presentano aspetti di criticità. Non credo che la cosa
vada sottaciuta ma nello stesso tempo va detto, con franchezza, che
adesso abbiamo scoperto la questione dell’apprendistato. Probabilmente
perché a questo punto l’apprendistato come rapporto di lavoro assume
un significato diverso rispetto al passato, mi riferisco alle grandi
aziende, perché nelle piccole aziende e nell’artigianato
l’apprendistato da sempre è ampiamente diffuso ma non c’è mai
stato da parte nostra un particolare interesse e intervento
contrattuale. Credo che a partire da questa vicenda affronteremo il
problema di come anche la condizione dell’apprendistato rientri a
tutti gli effetti dentro la dinamica della contrattazione aziendale come
parte integrante delle scelte che dovremmo fare sul futuro della
contrattazione e il suo possibile sviluppo, l’unificazione
dell’insieme dei rapporti di lavoro. Tralascio, invece, critiche che
mi sembrano assolutamente infondate, come quella di dire che visto che
ci sono le elezioni politiche alle porte, meglio non fare accordi
sull’apprendistato perché può cambiare la legge
sull’apprendistato. Se poi sono fatte da chi ha un ruolo confederale,
vorrei capire se questa critica vale per tutte le categorie – visto
che tutti hanno fatto accordi sull’apprendistato – o vale soltanto
per la Fiom. Il
secondo elemento su cui vorrei richiamare la nostra attenzione è che la
trattativa ha avuto varie articolazioni sulle diverse questioni
affrontate ma, in un modo o nell’altro, si è sempre svolta intorno a
un punto centrale: l’esigibilità delle Rsu. Questo
è stato l’oggetto dei primi dieci mesi della vertenza –
nell’ultima fase, quando hanno capito che sulle Rsu e
sull’esigibilità non passavano, sono passati ai Par. Noi, a dire la
verità, non siamo rimasti particolarmente sorpresi, poiché tale
questione è al centro anche della proposta che la Confindustria ha
presentato due mesi fa alle confederazioni e che, presumibilmente, fra
tre o quattro mesi sarà l’oggetto del confronto confederale. Vorrei
che non sfuggisse questo dato, perché ce lo ritroveremo come questione
centrale del confronto e della discussione che va oltre – e lo dico
esplicitamente – anche alla questione del primo, secondo, terzo e
quarto livello di contrattazione. Perché comunque sia, a quel punto, se
dovesse passare un’idea dell’orario di questa natura, qualunque
livello sarebbe segnato da un’idea della contrattazione di puro
accompagnamento rispetto alle scelte che le imprese compiono. Ed è
stato anche il punto di maggiore criticità, in una certa fase, del
rapporto con le altre organizzazioni sindacali. Molti non hanno capito e
compreso cosa sia successo in quelle giornate durante le quali uno si
alzava, l’altro restava, uno usciva ecc.; la ragione di tutto ciò
aveva nome e cognome: esigibilità delle Rsu. A fronte del fatto,
ovviamente, che se fosse stata da noi accettata una formulazione – e
ce ne hanno presentate diverse – presente in altre esperienze di
categoria, non avremmo avuto particolari problemi sulla questione
retributiva a chiudere rapidamente il contratto. Lo
scambio esigibilità-aumento retributivo è stato l’elemento che ha
segnato tutta la partita. Per assurdo, in quelle due giornate di
dicembre è anche avvenuto il passaggio decisivo, quando dalla
dichiarazione della Fim di rottura del tavolo era scomparso ciò che era
stato affermato fino a poche ore prima: che abbandonavano il tavolo
anche perché non c’era più una posizione unitaria. Ma, viceversa,
hanno affermato al tavolo: sulla flessibilità o c’è una posizione
unitaria o non esiste nessuna posizione. Quella dichiarazione, in realtà,
rispetto alla controparte, significava che la questione della esigibilità
delle Rsu scompariva dal tavolo di confronto. A quel punto si è chiusa
la fase della esigibilità e successivamente sono ripartiti sulla
questione dei Par, con l’ultima richiesta – fatta dieci giorni fa
– di avere a disposizione tre Par da monetizzare, e quindi l’aumento
dell’orario di lavoro. Ora,
su questo terreno noi avevamo detto fin dall’inizio, come peraltro era
scritto nel documento, che c’era un tavolo di confronto sul mercato
del lavoro che era legato alla questione dell’orario. E sul mercato
del lavoro
– e qui c’è un dato politico che vorrei non sottovalutassimo –
unitariamente abbiamo più volte detto al tavolo della trattativa che la
nostra richiesta era esplicitamente fuori dalla Legge 30. E se pensiamo
all’accordo firmato due anni fa, secondo il quale le Commissioni
dovevano dare attuazione alla Legge 30, siamo di fronte a una novità
che non può che essere apprezzata, visto che più volte si è detto: «noi
facciamo le percentuali se le percentuali sono onnicomprensive», cioè
compreso i contratti a termine fino a 7 mesi prorogabili e quelle
casistiche che la Legge 30 esclude dalla contrattazione (casistiche vuol
dire picchi produttivi ecc., contratti a tempo determinato fino a 7 mesi
prorogabili, significa che le percentuali che tu definisci sono
puramente applicative della legge). Dalla
Confindustria hanno risposto che mai e poi mai avrebbero fatto a livello
nazionale un accordo di questo genere sul mercato del lavoro, a quel
punto noi abbiamo detto: «Bene, se le cose stanno così, noi ritiriamo
non solo la questione dell’esigibilità, che è saltata, ma anche la
disponibilità sull’estensione dell’orario plurisettimanale fatto
secondo le procedure dell’articolo 5 del contratto». Da qui è venuta
fuori una soluzione che ritengo assolutamente importante e corretta, la
quale dice seccamente, senza ambiguità, che c’è una Commissione che
da qui al 31 luglio deve definire le percentuali per quanto riguarda
lavoro precario, tempo determinato, lavoro interinale ecc. Se per quella
data queste percentuali non sono definite, finisce la sperimentazione
sull’orario plurisettimanale. I padroni sanno, come sappiamo noi, che
dire questo significa fare un accordo sul mercato del lavoro che non è
quello della Legge 30. È
ovvio, anche se non è scritto, che su questo c’è stata una
valutazione e un’operazione di carattere politico: teniamo aperta la
questione, andiamo oltre le elezioni del 9 aprile, se cambia il quadro
politico non abbiamo più il problema di fare un’operazione che è un
pugno in faccia rispetto alla Legge 30, se non cambia il quadro politico
e rimaniamo lì fermi, il 31 luglio non c’è più neanche l’orario
plurisettimanale e la sperimentazione sull’orario plurisettimanale. Da
un punto di vista contrattuale vuole dire: «dato che a voi interessa
l’orario plurisettiamanale, se volete che continui questa
sperimentazione, è bene che facciate l’accordo sul lavoro precario,
superando la Legge 30». A
me sembra una soluzione sul punto più delicato di questa partita
assolutamente rilevante e importante, con una valenza e un significato
di carattere generale sia dal punto di vista sociale che politico non
solo per la nostra categoria. Avremmo
potuto fare un’altra scelta per così dire «da furbi»: fissare delle
percentuali facendo finta di non sapere che se nella formulazione
contrattuale non è scritto esplicitamente che è onnicomprensiva, si
tratta semplicemente dell’applicazione della Legge 30. L’altra
considerazione che io ritengo assolutamente rilevante nella valutazione
dell’accordo è quella sui rapporti unitari. Sono stati faticosi,
complicati, abbiamo fatto decine di riunioni nelle diverse fasi di
questa trattativa. Però, visto che siamo arrivati alla conclusione di
questa vicenda contrattuale, devo dire che la discussione è servita a
tutti – al di là di alcuni infortuni, che pure ci sono stati – e
alla fin fine si è svolta nell’ambito delle regole democratiche che
avevamo definito fin dall’inizio. Ed è servita anche a noi, perché
avevamo impostato la mediazione sui 25 euro come una cosa che in qualche
modo subivamo rispetto all’impostazione degli altri. Credo di poter
dire che, al di là di valutazioni pure assolutamente legittime,
l’impostazione iniziale era effettivamente diversa. Questo aspetto dei
130 euro e della possibilità di una trasformazione in un nuovo istituto
contrattuale a livello nazionale, è un fatto che noi faremmo male a
vendere come una cosa che noi abbiamo subìto nei confronti di Fim e
Uilm. Perché in realtà introduce un aspetto assolutamente positivo e
rilevante per il futuro del Contratto nazionale: non ci sarà mai
nessuna soluzione di sistema di regole in grado di coprire la
contrattazione su tutti i lavoratori metalmeccanici. Il fatto di aver
introdotto un istituto per le retribuzioni più basse è stato – anche
concettualmente – il prodotto di una discussione unitaria
assolutamente trasversale, nelle posizioni che si sono espresse, che
alla fine ci ha permesso di configurare un’operazione che ritengo di
assoluto rilievo. E questo rappresenta un fatto assolutamente rilevante
anche in prospettiva, se pensiamo alle dinamiche del mercato del lavoro.
L’ultima
considerazione riguarda i sei mesi di allungamento della durata del
contratto. Diciamoci la verità: veramente qualcuno pensa che per noi
sia stato un grande sacrificio questa cosa? Cioè, qualcuno pensa che
dopo aver chiuso una vertenza durata 13-14 mesi noi, a ottobre, avremmo
presentato la piattaforma per il rinnovo del Contratto nazionale,
secondo le norme attuali? C’è un rapporto tra la durata della
vertenza contrattuale e questo sistema dei due anni, non c’è dubbio.
Anche qui, capisco le obiezioni rispetto al fatto che a quel punto i 100
euro di aumento potevano essere di più ecc., ma non capisco obiezioni
di altra natura, del tipo che in questo modo si costituisce un
precedente rispetto alla struttura contrattuale: in tutte le situazioni
dove la conquista del contratto ha richiesto periodi prolungati – e
quindi non i contratti fatti senza mezz’ora di sciopero e due mesi
dopo la scadenza – è stata posta, inevitabilmente, la questione
relativa alle scadenze. Ora,
per quanto ci riguarda, non c’è dubbio che la soluzione sul piano
retributivo di 100 euro equivalenti al 6%, di cui lo 0,9% per il
pregresso, è definita con criteri che superano l’inflazione
programmata. Non c’è scritto nell’ipotesi di accordo ma pare
evidente che, essendo il 2005 a consuntivo pari all’1,9%, per i
successivi 18 mesi siamo oltre il 3%.
Si è scelta volutamente una cifra unica, una percentuale unica e
non a caso c’è scritto che la «comparazione» – termine utilizzato
nel testo del 23 luglio – verrà fatta secondo i criteri del 23
luglio, che non sono solo l’inflazione ma sono le ragioni di scambio
– basta leggersi i testi –, il potere d’acquisto eccetera
eccetera. Quindi
anche qui c’è una soluzione che nella formulazione finale evita
qualsiasi ragionamento in qualche modo riconducibile ad altri testi che
dicevano «anticipo equivalente a conguaglio» ecc. È altra cosa. Ed è
altra cosa unitariamente: nessuno ha giocato a fare il furbo, anche
nella definizione del testo contrattuale, dove non abbiamo avuto
particolari problemi. L’ultima
notte è stata molto rischiosa, perché con una controparte che propone
99 euro, a fronte dei 100 richiesti, è complicato dire «noi non
firmiamo»; un euro non è un problema economico né per loro né per
noi. Ma era evidente che quell’euro aveva un significato tutto
politico rispetto alle lotte che i lavoratori stavano facendo e allora
abbiamo ribadito – con un atteggiamento unitario al tavolo, al di là
delle discussioni che si svolgevano al di fuori – che noi firmavamo se
c’erano 100 euro. A quel punto c’è stata una sospensione di 7-8
ore, evidentemente la discussione tra i padroni è stata piuttosto
complicata. Alle 9 del mattino ci hanno consegnato un comunicato che
sanciva la conclusione dell’accordo. Credo
che l’intervista rilasciata oggi da Calearo sia assolutamente corretta
e apprezzabile. Chiaramente lui non può non dire che la sua delegazione
è stata compatta ecc., ma all’interno di Federmeccanica c’è stato
uno scontro evidente, è successo di tutto, ci dicevano una cosa e dopo
l’incontro della loro delegazione la ritiravano e così via.
L’ultima in ordine di tempo è che l’Api non ha firmato, la
trattativa si riprende martedì. Lì, diversamente dalla Federmeccanica
– dove sono un po’ più grandi – gli «scazzi» non sono avvenuti
nella riunione di delegazione ma si sono insultati tra di loro in
trattativa: qualcuno è uscito sbattendo la porta dicendo agli altri
della delegazione che non capiscono un cavolo, altri hanno minacciato di
cambiare associazione, finché,
a un certo punto, si è convenuto di sospendere tutto e
riprendere martedì. È evidente, quindi, che per quanto riguarda le
aziende dell’Api, continuano gli scioperi e le iniziative che abbiamo
prodotto nel corso di queste giornate. La
discussione che si è determinata tra i padroni dell’Api è molto
simile a quella che ha attraversato e diviso i componenti la delegazione
di Federmeccanica i quali, in Giunta, per non votare e dividersi su
diverse ipotesi, hanno votato all’unanimità su un unico punto:
chiudere sotto i 100 euro. Noi sapevamo di questo mandato di compromesso
tra le diverse posizioni – tra la Fiat e gli altri – a chiudere
anche a 99,5 o a 99,6 ma comunque sotto i 100. Questa è quindi
diventata la ragione del braccio di ferro dell’ultima notte, per il
significato politico che ciò assumeva per gli uni e per gli altri, e
soprattutto nei riguardi dell’iniziativa e delle lotte dei lavoratori
che, ovviamente, sono state aspetto assolutamente decisivo per qualsiasi
ragionamento sulla trattativa. Senza il livello di mobilitazione che si
è determinato non saremmo stati in grado di raggiungere questo accordo.
E io rimango convinto che ancora una volta, come in altre occasioni in
cui le mobilitazioni sono andate oltre la nostra aspettativa, è
scattata la molla dell’affermazione della dignità da parte dei
lavoratori. Come dire «adesso basta, non possiamo essere trattati in
questo modo e lavorare in queste condizioni». Questo ci ha permesso i
passaggi conclusivi, ma questo è anche un patrimonio da cui ripartire
– anche nella nostra discussione – e da tenere conto nelle scelte
che dovremmo fare. A
partire da lunedì prossimo apriamo la procedura delle assemblee e del
referendum tra le lavoratrici e i lavoratori, solo dopo scioglieremo la
riserva per dare attuazione all’accordo. |