Comitato centrale Fiom del 3 maggio 2005 Relazione
introduttiva di Gianni Rinaldini Mi
propongo di consegnare al Comitato centrale una valutazione
sull’insieme della situazione e sulle tappe di un possibile percorso
per quanto riguarda la Fiom, senza precipitare in decisioni affrettate,
ma consegnando il tutto alla discussione del Comitato centrale e dei
gruppi dirigenti. Tutto
ciò non può, ovviamente, prescindere dalla situazione che stiamo
attraversando che per l’ennesima volta si presenta assolutamente
delicata e che vede un forte intreccio – anche a livello delle
iniziative di lotta – tra la situazione e la dinamica contrattuale
(con il rinnovo del biennio economico) e la crisi del sistema
industriale del nostro paese che non dà alcun segnale di miglioramento
ma che tende, purtroppo, ad un ulteriore peggioramento. Oggi, ad
esempio, è molto probabile che vengano aperte le procedure di mobilità,
quindi di licenziamento, per quanto riguarda la Whirlpool di Varese, che
si aggiunge al lunghissimo elenco delle situazioni di crisi, di
riduzione, di chiusure di stabilimenti e di licenziamento. Questo
intreccio tra le vicende contrattuali, il rinnovo del biennio economico
e la condizione del sistema delle imprese sta a indicare anche la
dimensione della crisi sociale del nostro paese e il fatto che le scelte
compiute e perseguite nel corso di questi anni ci hanno portato,
contemporaneamente, a una riduzione del potere d’acquisto da parte dei
lavoratori dipendenti, con un incremento a tutti i livelli delle
disuguaglianze sociali, ad un processo di precarizzazione nei rapporti
di lavoro e all’assenza di qualsiasi idea/ipotesi di politica
industriale. Uso il termine “crisi sociale” e non “fallimento”
proprio per sottolineare la gravità dei processi in atto. Questi
sono gli effetti che si sono determinati nel corso di questi anni per
responsabilità di una politica finalizzata non soltanto alla riduzione
del costo del lavoro ma sulla ridefinizione delle relazioni sociali che
negano il ruolo del lavoro come soggetto autonomo della contrattazione. Insisto
su questo, anche in modo schematico, perché il conflitto sociale
costituisce la linfa vitale di qualsiasi paese democratico. Non
cogliere questo elemento, a mio avviso, significa non cogliere un
elemento fondamentale di lettura degli stessi processi istituzionali e
politici in atto che affondano la loro radice, in primo luogo, nella
ridefinizione stessa del lavoro e della sua rappresentanza. Questo
processo, sia chiaro, non riguarda soltanto il nostro paese. Le
difficoltà delle organizzazioni sindacali, la messa in crisi di tutti
gli assetti e di tutte le regole preesistenti, persino quelle più
consolidate nel tempo, coinvolge tutti i paesi europei. Da
questo punto di vista la stessa vicenda tedesca – abbiamo incontrato
qualche giorno fa lo «stato maggiore» dell’Ig metall – ha reso
evidente le difficoltà che attraversano gli altri sindacati europei,
anche quelli dei paesi più forti sul versante della struttura
industriale. C’è
un processo di riorganizzazione a livello europeo e internazionale del
capitale finanziario e industriale, e la ridefinizione della divisione
del lavoro. Lo
dico perché qui si colloca anche un’altra questione: se l’Europa
non assume come aspetto centrale da cui ripartire quelli che sono i
diritti sociali – contrattazione e welfare – e l’armonizzazione
rispetto a questioni fondamentali come il fisco, il rischio è che la
stessa Europa al suo interno diventi area di dumping sociale sottoponendo a forte rischio e a forte tensione le
situazioni sindacali più consolidate sia sul versante dei contratti
nazionali, sia sul ruolo e l’esercizio della contrattazione. Se
tutto ciò è vero, è altrettanto vero che esiste una specificità
propria del nostro sistema industriale. All’Ig metall hanno tante
difficoltà ma la Germania aumenta la produttività e aumenta
l’esportazione. La situazione sociale e politica del nostro paese,
invece, è accompagnata da una condizione del sistema industriale che
perde i pezzi più significativi e più importanti, diminuiscono
paurosamente le esportazioni nel commercio internazionale così come non
cresce dal versante della produttività, e da quattro o cinque anni
assiste a una riduzione della produzione industriale. Questa
specificità sta nell’assenza di un’idea di politica industriale con
la crisi drammatica che attraversano i diversi settori ed è sufficiente
qui citare la situazione della Fiat. Il rischio evidente è che il
settore dell’auto subisca lo stesso processo che ha segnato la vicenda
Olivetti: ma parlare della Fiat, del più grande gruppo industriale
privato esistente nel nostro paese, significa fare un ragionamento che
riguarda l’insieme dei settori produttivi in Italia, e penso
all’informatica e ad altri settori. Ci troviamo, insomma, di fronte a
un processo di assoluta devastazione – a parte alcune aree produttive
– di un sistema
industriale. Questo
elemento di specificità della nostra struttura produttiva deriva,
ovviamente, da un lungo percorso che
qui non intendo riproporre e che riguarda le scelte compiute nel corso
degli anni, con alla base quella di privilegiare operazioni di natura
finanziaria – in un rapporto diretto con le scelte compiute dal
Governo – rispetto a scelte di natura industriale. L’altro
elemento di specificità che non intendo assolutamente sottacere è
l’assetto istituzionale e democratico, perché quando si aprono
ragionamenti di modifica della stessa Costituzione e quando si aprono
processi politici come quelli che abbiamo verificato e verifichiamo
continuamente, siamo di fronte a un ulteriore elemento di specificità
che accompagna la crisi industriale e che è la deriva della democrazia
a tutti i livelli. C’è appena stato il 25 aprile e credo che siano
apparsi evidenti anche in quella giornata propositi estremamente
preoccupanti rispetto al futuro non solo delle organizzazioni sindacali,
ma dell’intero assetto istituzionale. Come
ho detto all’inizio, la crisi industriale e istituzionale si intreccia
con la nostra situazione contrattuale, rispetto alla quale registriamo
una sostanziale chiusura da parte della Federmeccanica, che propone 60
euro di aumento per il rinnovo del biennio economico. Proseguiremo tutti
gli incontri: ieri c’è stato quello sull’apprendistato – ci hanno
proposto il prolungamento a 6 anni, più di un corso di laurea –; ci
sono gli Osservatori, il mercato del lavoro ecc.; non saremo noi a
interrompere gli incontri, però possiamo dire che la trattativa ha
raggiunto una situazione di stallo e non a caso, unitariamente, abbiamo
previsto di convocare l’Assemblea dei 500 delegati, prevista dal
percorso democratico, per il 17 maggio, successivo all’incontro del
16, per discutere delle iniziative di lotta e di mobilitazione di tutta
la categoria che non potranno essere risposte simboliche di qualche ora
di sciopero con assemblea, vista la situazione che abbiamo di fronte, di
fatto, di blocco contrattuale. Assieme
a questo e con questo, però, dobbiamo assolutamente tenere insieme
nella nostra iniziativa, così come abbiamo fatto anche nella giornata
del 15 aprile, l’iniziativa di lotta sul rinnovo del biennio economico
con lo sviluppo delle iniziative di lotta per quanto riguarda la crisi e
la definizione dei piani di settore. Non ci possiamo permettere di
scindere le due questioni, perché questa è la situazione della
categoria e noi abbiamo la necessità di intensificare l’iniziativa
– aggiungo – non solo da parte nostra ma anche a livello
confederale, perché le vicende che abbiamo di fronte hanno un valore
assolutamente generale, non solo per i meccanici, ma per l’insieme del
paese. Per
quanto riguarda la Fiat siamo a una situazione semplicemente
intollerabile; credo che da parte nostra e delle Confederazioni vada
compiuto un salto di qualità nei toni delle iniziative. La
Fiat continua a negare qualsiasi incontro rifiutandosi di dire quale è
il suo progetto industriale, e il Governo da parte sua, deve ancora
risponderci per la convocazione di un tavolo generale. Tutto quello che
sta succedendo e che leggete sui giornali avviene senza nessun confronto
con le organizzazioni sindacali. La
Fiat, del resto, è abituata a pensare a relazioni sindacali di un certo
tipo. In Polonia è riuscita a fare un accordo separato sugli aumenti
retributivi e sulle condizioni di lavoro escludendo Solidarnosc,
emettendo poi uno splendido comunicato contro Solidarnosc che sembra uno
di quelli che venivano fatti contro la Fiom quando c’erano gli accordi
separati, è identico. Ho
parlato della Fiat ma potrei citare, ovviamente, altre situazioni come
ad esempio l’Electrolux ecc. Noi
abbiamo la necessità di tenere assieme l’iniziativa sul rinnovo del
biennio economico con l’iniziativa sui punti di crisi, con la
definizione e la costruzione di un’interlocuzione vera con il Governo
rispetto agli interventi che più volte abbiamo richiesto e rispetto
alle politiche settoriali. Nella
stessa Assemblea dei delegati della Funzione pubblica di giovedì
prossimo, a cui sono stati invitati anche i segretari generali delle
categorie, sarebbe opportuno e necessario che, a questo punto, si
mettesse in cantiere uno sciopero generale riguardo alla crisi e al
blocco contrattuale. Non è possibile scindere – a partire dalla
condizione concreta della gente – i due elementi come aggiuntivi e
sovrapponibili tra di loro. Colloco
in questo quadro il rapporto con la discussione del possibile Congresso
della Cgil, visto che sono state elette sia la Commissione politica che
la Commissione regole. Il
mio approccio parte da una premessa generale: viviamo una fase di
incertezza politica evidente e, allo stato attuale, almeno da quello che
capisco, nessuno è in grado di escludere il precipitare della
situazione politica. Leggo
così la stessa proposta/sfida di Berlusconi sul Partito unico o
l’ipotesi di accelerare la decisione sulla finanziaria possibilmente
entro l’estate con il Dpef. C’è
il rischio, nel caso di elezioni anticipate, come è già accaduto in
passato, di dover interrompere l’iter congressuale e riprenderlo
successivamente. Capisco
che questo è un elemento di valutazione che riguarda, in primo luogo,
la segreteria della Cgil; personalmente – visto che si tratta di una
relazione a livello personale – mi limito a dire che, stante una
valutazione sulla situazione politica, qualora nei prossimi mesi si
dovesse decidere un percorso diverso, ciò non troverebbe da parte del
sottoscritto nessuna obiezione. Detto
ciò, ragiono secondo l’ipotesi di un Congresso che dovrebbe avere una
sua conclusione nel mese di marzo e faccio notare che siamo limite
perché le elezioni sono previste a maggio. La
situazione al momento è che la discussione di merito, su questo voglio
essere chiaro, l’approfondimento vero deve ancora iniziare; ci sono
ragionamenti inerenti la premessa di carattere generale e i titoli –
che pure hanno un significato – rispetto ai 12 capitoli da scrivere. L’elemento,
invece, da cui partire, allo stato della discussione, è che sono stati
indicati due aspetti che hanno una loro rilevanza politica e che
riguardano il fatto che la segreteria della Cgil, nel suo insieme, a
partire dal segretario generale, ha prospettato la possibilità di un
Congresso della Cgil su un unico documento e, nello stesso tempo, un
patto politico a tutti i livelli per quanto riguarda il governo della
nostra organizzazione. Parlando,
ovviamente, della Cgil, il riferimento in questo caso è il Congresso
della Cgil svoltosi 4 anni or sono. Non
mi sfugge il significato politico di questa proposta: una proposta di
tutta la segreteria sulla possibilità di andare a un documento unico
basato sulla valutazione di questi 4 anni e sulle posizioni che sono
state assunte, su scelte
fondamentali e fortemente condivise, che vanno dalla pace all’art. 18,
alla Legge 30 ecc. Un
quadro di questa natura mi porta a dire che, allo stato attuale, vanno
verificate, nel merito della discussione dei 12 capitoli – poi dirò
“12 tesi” –, le condizioni per la costruzione di un unico
documento, stante il fatto che questo percorso e questo Congresso avverrà
in presenza del governo Berlusconi, perché l’altra ipotesi non c’è:
l’altra ipotesi vorrebbe dire che il Congresso non si fa. Non so se è
chiaro: se ci sono le elezioni, il Congresso è rinviato. Il
Congresso, si farà in presenza del governo Berlusconi e, probabilmente,
se tutto rimane fermo avverrà nel pieno di una «vivace» campagna
elettorale in presenza di un Governo che, vedo in grandissime difficoltà,
ma che non sottovaluterei e non lo considero finito, perché per
Berlusconi questo passaggio diventa assolutamente vitale e quindi
giocherà tutte le carte possibili, anche con evidenti aspetti di
pericolosità. Dovremo
certo evitare di fare un Congresso stretto in una logica di campagna
elettorale, come elemento prevalente di tutta la nostra discussione e
dovremo essere in grado di definire posizioni, obiettivi e profilo della
nostra organizzazione che siano validi sia in presenza del governo
Berlusconi che per altri auspicabili governi. Il
congresso, significa dire cosa pensiamo sulla politica, cosa proponiamo
sul terreno della politica industriale, sulla politica di
redistribuzione del reddito finalizzata ai lavoratori, sulla costruzione
di un nuova legislazione del lavoro che superi una condizione di
precarizzazione, sulla democrazia e sul Welfare. Dentro questa
discussione c’è un rapporto dialettico rispetto alle posizioni che
come Fiom non solo abbiamo deciso, ma abbiamo esercitato. Questo
è il passaggio per evitare di rimanere schiacciati tra il dover
discutere nei Congressi in piena campagna elettorale e la necessità di
definire un profilo di autonomia e di democrazia che sia in grado di
parlare nell’immediato, in quella importantissima campagna elettorale,
ma anche rispetto ad auspicabili soluzioni politiche diverse. Siamo
facilitati in questo anche a partire dal fatto che se il riferimento per
la Cgil non può che essere il Congresso di 4 anni fa, per quanto ci
riguarda come Fiom il rapporto è con il Congresso di 9 mesi fa. E’
necessario far vivere dentro la costruzione dei documenti congressuali,
per quanto ci riguarda i contenuti dei documenti discussi e approvati
non più tardi di dieci mesi fa, sapendo tutti che, proprio perché così
ravvicinata nel tempo nelle assemblee, i nostri iscritti ci chiederanno
anche quali sono gli elementi di modifica rispetto a una discussione
fatta non molto tempo fa, nella Fiom. Non
abbiamo fatto un Congresso straordinario, ma un Congresso ordinario
anticipato. Lo abbiamo fatto in una situazione caratterizzata, in quella
fase, dall’esperienza dei precontratti, nel pieno dell’esercizio
degli accordi separati; ricordiamo tutti che abbiamo fatto quel
Congresso accompagnato da iniziative di conflitto sociale di una qualche
rilevanza – basti pensare alla vicenda Fincantieri, alla prima
vertenza delle acciaierie di Terni, alla stessa vicenda di Melfi ecc.
–; un Congresso che nel vivo di quella situazione ha definito
orientamenti e scelte per quanto riguarda la nostra categoria che ci
hanno permesso, nel corso di questi mesi, di arrivare anche alla
definizione di una piattaforma unitaria con quei contenuti e quei
percorsi democratici, con l’adesione quasi unanime del gruppo
dirigente della Fiom, suffragata successivamente dal voto dei lavoratori
attraverso il referendum. In tanti hanno sperato che alla fine non
saremmo stati in grado di fare la piattaforma unitaria, o comunque che
si sarebbe determinata una rottura all’interno della Fiom, smentendo
di fatto il Congresso appena fatto. Non è stato così. Dopo
il Congresso ci sono state, quindi, scelte difficili che questo gruppo
dirigente ha praticato nel corso di questi mesi e che ci hanno portato,
anche recentemente, a una serie di iniziative significative anche se non
sufficienti, perché tali le ritengo, in determinate realtà, in
particolare alla Fiat su cui ci sarà prossimamente un appuntamento
importante di discussione con la Cgil. Per
quanto riguarda i rapporti unitari bisogna sottolineare il fatto che il
15 aprile, dopo tanti anni, siamo tornati a fare uno sciopero unitario
sulla crisi e che, certamente, il 17 dichiareremo iniziative di
mobilitazione generale della nostra categoria unitariamente, come da
tempo non succedeva; è un elemento che faremmo male a sottacere anche
se so benissimo che ci sono questioni e nodi che si potranno riproporre
nella discussione e nel confronto, su questo non mi faccio illusioni. Alla
luce di tutto ciò, qual è il rapporto con il Congresso della Cgil per
quanto riguarda la Fiom? Da
sempre e anche in questi quattro anni c’è stata una dialettica
positiva tra la nostra organizzazione e la Cgil, che ha sempre
costituito nella storia del sindacato un elemento di forza per la Fiom e
per la Cgil e, quando non c’è stato questo rapporto dialettico perché
è stato in qualche modo annullato dentro l’organizzazione, sono state
più deboli la Fiom e la Cgil. E’
chiaro allora che un documento va verificato, e continuo a dire un
documento unico, si vedranno nel merito tutte le condizioni, è
altrettanto evidente che il patto politico dell’organizzazione, per
quanto ci riguarda, non può scavalcare un passaggio: la Fiom ha un
patto politico che è quello sancito, deliberato dal congresso fatto
dieci mesi fa. Se
questa è la situazione, la Fiom – per quanto riguarda il nostro
Congresso di categoria dovrebbe confermare, anche alla luce delle scelte
praticate nel corso di questi mesi, le scelte che abbiamo compiuto con
il Congresso di 9-10 mesi fa e su questa base assumere l’orientamento
di andare, alla conferma della platea congressuale dei delegati di 8-9
mesi fa e dell’assetto dei gruppi dirigenti, fatti salvo i normali
processi di rinnovamento. Quando dico “conferma” non è un atto del
Comitato centrale ma la proposta del Comitato Centrale da votare nelle
assemblee congressuali. Questa è la proposta che vi consegno. Per
quanto riguarda le assemblee degli iscritti, nei meccanici non ho dubbi
che in quella fase si discuterà di contratto e di crisi. Se non è così
e si pensa che, la Fiom debba andare a un Congresso Cgil per riaprire tutte
le questioni interne, non è oggi la sede per deciderlo, ma a un certo
punto, se questa sarà la scelta ognuno si attrezzerà e se ne assumerà
la responsabilità. Per
quanto mi riguarda, vorrei evitare – viste le scelte compiute nel
corso di questi mesi e il Congresso che abbiamo svolto – di ritrovarmi
a settembre/ottobre alla riapertura a partire dai gruppi dirigenti del
Congresso Fiom. Perché i tempi sono questi: le Assemblee di base
partono da settembre/ottobre. Riepilogando,
quindi, propongo uno schema di ragionamento ed un percorso per il del
Congresso della Fiom diverso da quello tradizionale, basato
semplicemente sul fatto che non credo si possa cancellare il Congresso
ordinario anticipato, della Fiom. Non credo si possa dire: «Quel
Congresso non conta, il riferimento è quello di 4 anni or sono». Per
quanto riguarda il Congresso della Cgil i documenti, ho già detto che
va verificata nel merito la costruzione dei 12 capitoli così come ci
sono stati proposti e che non mi sfugge il significato anche di un
documento unico; ritengo che all’interno del Congresso della Cgil
debbano vivere nella discussione aspetti propri anche delle scelte che
abbiamo compiuto e praticato come Fiom nel corso di questi anni. Non
mi azzardo – proprio per correttezza rispetto a una discussione di
merito che deve ancora cominciare – a dire: «Farò in questo modo,
farò in quest’altro modo». Dico semplicemente che un documento unico
o, comunque, un documento presentato con quelle caratteristiche debba
essere un documento a tesi con la possibilità che ci siano tesi diverse
su uno, due punti purché qualificanti. Se invece si moltiplicano e sono
10 tesi alternative è chiaro che siamo di fronte a
un altro impianto ed un’altra scelta. Su
una cosa, però, è bene essere precisi: le tesi sono una cosa e gli
emendamenti sono un’altra cosa. Gli emendamenti sono uno strumento
che viene votato laddove viene presentato e possono non arrivare
alle istanze successive. Le
tesi invece si votano in tutti i luoghi lavorativi e non sono
successivamente votate da nessuna istanza superiore. Quel
voto arriva direttamente al Congresso nazionale della Cgil. Dico
questo per chiarezza, perché sento che in giro c’è, in realtà, una
grande confusione tra tesi ed emendamenti: sono due percorsi tra loro
diversi. C’è
il problema del rapporto con i delegati in un ragionamento di tesi
alternative; anche qui vorrei essere il più preciso possibile: non
credo che la questione sia il rapporto automatico con i delegati. In
uno schema di tesi il rapporto automatico con i delegati significherebbe
liste separate; ogni tesi avrebbe collegata una lista. Questo, tra
l’altro sarebbe, francamente, difficile da definire nel suo stesso
funzionamento tecnico. Questo
non significa che non ci debba essere un rapporto con i delegati, che è
inevitabile dentro un percorso democratico, perché è evidente che,
alla fine, non può esserci una platea di delegati in contraddizione con
il voto che si è espresso nei luoghi di lavoro, sarebbe
paradossale. Le
forme e le modalità di questo rapporto credo possano essere costruite
più chiaramente soltanto alla fine del percorso, perché, insisto, una
cosa è un documento con una o due tesi alternativa e altra cosa è un
documento con più tesi
alternative che implica la definizione anche di un meccanismo
diverso. Nel
consegnare al Comitato centrale e, ovviamente, al segretario generale
della Cgil, queste ipotesi di lavoro, ho presente che c’è tutta
un’altra serie di questioni su cui temo che sia in corso una
discussione spezzettata, e così non va bene. Penso alle assemblee di
organizzazione che si stanno facendo come Cgil in giro per l’Italia. È
necessario metterci d’accordo, perché il problema della
riorganizzazione della Cgil e delle categorie è enorme e non può
essere fatto attraverso colpi di mano. Esiste il rischio di un dumping
sociale tra le categorie – non solo la questione dell’Europa –
nella collocazione dei lavoratori in questo o quel contratto che, ormai,
è un problema che ci troviamo ad affrontare in termini imbarazzanti,
con scene non proprio edificanti nel rapporto con le altre categorie e
con le controparti. Noi
abbiamo indicato l’ipotesi del sindacato dell’industria e della
necessità di aprire a tutto campo questa riflessione, ma ciò richiede
un’istruttoria vera, un percorso di approfondimento; non è una di
quelle decisioni che si fanno e poi si cambiano dopo qualche mese
e, allo stesso modo, non è una riforma che
può andare avanti a pezzi; perché intanto si precostituisce una
situazione non accettabile, per quanto ci riguarda come della Fiom. A
Guglielmo Epifani, del resto, abbiamo nuovamente esposto la questione
dell’applicazione dei contratti nel rapporto con le telecomunicazioni.
Ma oltre agli episodi che si susseguono, c’è una questione di fondo
che va affrontata, perché non siamo disponibili allo smantellamento
della nostra categoria, con scelte che ci comunicano gli stessi padroni
al tavolo, la scelta di migrare verso un altro contratto perché gli
costa meno. Bisogna
che ci mettiamo d’accordo nella costruzione di un percorso di
approfondimento che non so neanche se sta nei tempi della discussione
congressuale, ma che comunque, è una questione di assoluto rilievo. Ho
scelto, come avete visto, di delineare anche un percorso ben definito
consegnando la discussione al Comitato Centrale, onde evitare che nel
frattempo si facciano dibattiti strani in giro per l’Italia tra
Direttivi, Camere del lavoro, regionali, territoriali ecc. e si discuta
di un Congresso che deve ancora cominciare a discutere del merito. Indico
un percorso di approccio in questa fase alla discussione congressuale e,
ovviamente, il merito e le scelte da compiere avverranno nel momento
opportuno. In
sintesi la proposta per quanto riguarda il percorso della Fiom ha come
riferimento il suo recente
Congresso, che non può essere cancellato né rispetto alla discussione
congressuale della Cgil, né rispetto all’assetto della nostra
organizzazione a tutti i livelli. Per
quanto riguarda il sottoscritto, ho un vincolo: sono stato eletto 9 mesi
fa, sulla base di quelle
conclusioni e di quelle scelte. Se, quelle scelte vengono confermate,
bene, altrimenti si apre un’altra discussione. Non
escludo di proporre personalmente anche un documento per il Congresso
Fiom che riassuma quelle che sono state le decisioni congressuali e le
scelte compite in questi dieci mesi. Nel
passato è stato fatto di tutto affinché il congresso della Cgil non
annullasse le dinamiche delle categorie. Oggi la questione si ripropone: come far vivere questa dialettica rispetto ala costruzione dei documenti è un problema non solo della Fiom ma anche della Cgil, perché significa assumere questa dialettica come un fatto positivo e non come un fatto negativo, ed è questo il senso dell’indicazione di un congresso a tesi e del rapporto con i delegati nella versione non automatica, ma che segni e rispetti la plurale composizione della platea congressuale. |