Assemblea nazionale delegati Fiom Fincantieri Trieste, 10 ottobre 2002 Documento conclusivo
Sommario 1. La situazione del mercato internazionale 2. Fincantieri: la situazione attuale e le prospettive 1.
La situazione del mercato internazionale 1.1.
Nel 2002 si è registrato un forte calo della domanda di nuove navi. Gli
effetti della recessione internazionale e degli attentati dell’11 settembre si
sono fatti sentire e, dopo un lungo ciclo positivo che si è prolungato oltre
ogni previsione, la flessione degli ordini è seria. Gli scenari di guerra
dettati dalla dottrina Bush aggraverebbero questa tendenza fino a conseguenze
catastrofiche. 1.2.
Sul mercato si è ormai affermato un nuovo protagonista, dopo la Corea
del Sud, il Giappone e l’Europa. La Cina ha rapidamente conquistato una quota
del 10% del mercato mondiale. La cantieristica cinese, forte di due grandi
gruppi che hanno 150 mila e 90 mila addetti, si pone l’obiettivo di
raggiungere il 25% entro il 2010. Potendo sfruttare una grande capacità
produttiva e bassi costi, questo obiettivo è sicuramente alla sua portata. 1.3.
I cantieri europei sono in difficoltà. Lo smaltimento del portafoglio
ordini precedente ha finora permesso loro di reggere. Ma nella prima metà del
2002 la Germania si è assicurata solo l’1,1% dei nuovi ordini, di fronte al
45% del Giappone e il 35% della Corea. L’Italia, che aveva un quota del
mercato mondiale pari al 5%, ha preso solo lo 0,7% delle nuove commesse. Questi
dati dimostrano chiaramente che il 2003 sarà per la cantieristica navale
europea un anno molto difficile. 1.4.
Intanto la Corea del Sud ha continuato, senza incontrare ostacoli, la
politica di dumping che gli ha permesso di aumentare la capacità
produttiva e di acquisire quasi il 50% del mercato. Ora, però, la crescita
della Cina minaccia il predominio coreano sulle navi da trasporto tradizionali e
spinge la cantieristica coreana e giapponese a coprire segmenti più alti del
mercato (ferries, navi da crociera), accelerando per altro una tendenza
già in atto. Ciò significa che l’Europa non potrà più contare in futuro su
nicchie al riparo dalla concorrenza dei cantieri asiatici. 1.5.
A fronte di questa situazione l’Europa ha perso quattro anni in
negoziati inconcludenti con i coreani. Alla fine, ha deciso di presentare un
ricorso al Wto per concorrenza sleale e – pur confermando la fine degli aiuti
di Stato - di istituire un meccanismo temporaneo di difesa, che prevede aiuti al
6% solo per tre tipologie di navi (portacontainers, chimichiere e gasiere).
Queste misure sono positive in quanto rappresentano la prima risposta concreta
all’aggressività sudcoreana, ma arrivano tardi e sono insufficienti a
difendere effettivamente la cantieristica europea. 1.6.
Tuttavia, sarebbe un errore concludere che è fatale che un settore labour
intensive come la costruzione navale sia destinato a lasciare l’Europa
verso l’Estremo Oriente. Tutti gli studi dimostrano che l’economia del mare
è destinata a crescere in Europa a ritmi più alti di altri settori. È quindi
interesse strategico dell’Europa sviluppare un’industria della costruzione
navale capace di rispondere alla nuova domanda che la crescita dei traffici
marittimi porterà con sé. L’Associazione europea dei costruttori navali (Cesa)
avanza previsioni che riguardano, come dice il titolo del suo studio (LeaderShip
2015), il prossimo decennio. Il nuovo documento della Fem, che aggiorna il Memorandum
che fu alla base della giornata europea dei cantieri navali del 5 novembre 1999,
indica per il settore prospettive positive nel medio periodo. 1.7.
Queste previsioni hanno però bisogno di scelte e di una politica europea
che oggi non ci sono. Ne indichiamo gli elementi principali: ·
la lotta contro le carrette del mare, con la decisione di impedire alle
navi sub-standard l’accesso ai porti di tutto il continente; ·
una politica europea dei trasporti basata sullo sviluppo del cabotaggio
interno: “dalla strada al mare”; ·
una politica industriale europea mirata a sostenere l’innovazione di
prodotto; ·
una cooperazione tra i costruttori navali europei, a partire da programmi
comuni di ricerca e sviluppo. Su
questi obiettivi la Fem e i sindacati europei svilupperanno una campagna di
iniziative (anche in collaborazione con Attac, Greenpeace ecc.) che culminerà
nel 2003 con la seconda giornata europea dei cantieri navali. 2.
Fincantieri: la situazione attuale e le prospettive 2.1
In questo contesto la cantieristica navale italiana può avere una
prospettiva di tenuta e di sviluppo. Fincantieri rappresenta la parte
fondamentale del settore e ciò che sarà di Fincantieri deciderà le sorti
dell’intero settore. Per questo diciamo che un indebolimento di Fincantieri
sarebbe il primo passo verso l’uscita dell’Italia da questo settore
industriale. Ciò che è già accaduto troppe volte nella storia recente
dell’industria italiana non si deve ripetere anche per i cantieri navali. 2.2
Le scelte del nuovo gruppo dirigente di Fincantieri non vanno nella
direzione giusta: ·
Fincantieri è un’azienda, non una holding, e non può essere
gestita come se fosse una finanziaria e i cantieri delle società operative
autonome; indebolire il ruolo di Trieste significa indebolire il “cervello”
del gruppo; ·
le ipotesi, per quanto confuse, di smembramento dell’unità e
dell’integrità del gruppo puntano, in sostanza, alla separazione del militare
dal civile; ·
la scelta annunciata di rinunciare a una missione produttiva e di
concentrarsi sulle attività a più alto valore aggiunto significa rinchiudersi
entro alcune nicchie, aumentando così l’esposizione ai rischi derivanti dalle
variazioni cicliche del mercato; ·
si mette al centro della strategia aziendale una politica ossessiva di
riduzione dei costi che appare immotivata e miope e che porterà a tagliare gli
organici. 2.3
Le continue smentite dell’azienda, che cercano di tranquillizzare e di
dire che “tutto prosegue come prima”, non convincono perché non
corrispondono ai fatti. La direzione di Fincantieri ha incaricato una società
di consulenza di approntare un piano di riorganizzazione e di ristrutturazione.
Questo piano non è ancora stato presentato, ma le ipotesi in base al quale verrà
costruito – ipotesi definite dalla Fincantieri stessa – sono ispirate
all’esigenza di ridurre i costi e di tagliare tutto ciò che può essere
tagliato. Sappiamo per esperienza che quando si imbocca questa strada il
percorso è obbligato. 2.4
Queste scelte rappresentano un ritorno indietro rispetto alla strategia
di Guarguaglini che aveva portato, oltre tutto in brevissimo tempo, al
miglioramento della gestione e al risanamento dei conti, rimettendo in sesto
l’azienda per poter affrontare la privatizzazione in buone condizioni. La
svolta in corso sta producendo un diffuso disorientamento in tutta la struttura
aziendale che in molte sue parti non capisce perché si debba cambiare una linea
di gestione che aveva finora dato buoni risultati. 2.5
Ma questa linea dell’azienda può trovare aiuto nelle difficoltà del
mercato: i tre cantieri che costruiscono navi da trasporto e quello di Sestri
saranno scarichi di lavoro tra pochi mesi. Sono indispensabili nuove commesse.
Ma se l’azienda pensa di abbandonare le navi da trasporto potrebbe non mettere
tutto l’impegno necessario per acquisire nuove commesse in un segmento già di
per sé molto difficile. 2.6
Affrontare in queste condizioni la privatizzazione è pericoloso. Non è
vero che non sta succedendo nulla. Il governo nel Dpef indica la Fincantieri tra
le società “da dismettere”. Una volta stabilita questa intenzione, le
necessità impellenti di “fare cassa” potrebbero indurre il governo a
operazioni improvvisate e sconsiderate. D’altra parte, dopo lo scioglimento
dell’Iri, Fincantieri verrà collocata dentro Fintecna, che è una società
che ha puramente il compito di liquidare. I rischi di uno spezzatino o di una
soluzione qualsiasi, pur di privatizzare, sono dunque aumentati. E questi rischi
sono resi ancora più gravi dalla svolta del nuovo gruppo dirigente che non
considera l’unità e l’integrità del gruppo come la chiave di volta della
propria strategia industriale e quindi il vincolo con cui affrontare la
privatizzazione. 3
Per il rispetto degli accordi 3.1
La prova più evidente della svolta che è avvenuta
riguarda l’atteggiamento della nuova direzione di Fincantieri nei
confronti dell’Accordo di gruppo del 28 ottobre 2000. Non solo l’accordo non
viene rispettato in alcuni punti chiave, ma non viene più neppure considerato
un vincolo, e cioè in qualche misura un limite, alla libertà di manovra
dell’azienda. Questo a partire dalla premessa che sorreggeva tutto l’accordo
e cioè l’unità e l’integrità del gruppo. 3.2
Un primo esempio riguarda gli organici. Non solo non sono stati mantenuti
gli impegni assunti, con il conseguente aumento del ricorso agli appalti in
deroga oltre il 25%, il tetto fissato dall’accordo sugli appalti del 1999 e
dalla legge. In realtà l’azienda punta a una riduzione permanente
dell’organico del gruppo e quindi a una ulteriore dilatazione strutturale del
lavoro in appalto. Questo è inaccettabile. 3.3
Aumentare il lavoro in appalto vuol dire, infatti, allargare l’area del
lavoro precario, senza diritti e senza sicurezza. Nell’accordo l’azienda si
era impegnata a introdurre un sistema di timbrature per il controllo della
durata effettiva dell’orario di lavoro per tutti i dipendenti delle terze
ditte. Ma anche questo non è ancora avvenuto. Inoltre, l’azienda si è
opposta all’applicazione nelle cantieri più a rischio (Marghera e Monfalcone)
del Protocollo di legalità, che rappresenta lo strumento più efficace per
combattere le forme di lavoro nero e illegale negli appalti. Anche se con le
leggi delega del governo sul mercato del lavoro ciò che oggi è ancora lavoro
illegale rischia di essere puramente e semplicemente regolarizzato. Ribadiamo
anche che per noi il contratto di formazione lavoro è un contratto di
inserimento e la conferma deve essere naturale. Non deve succedere che anche il
cfl diventi una forma aggiuntiva della precarizzazione del lavoro in
Fincantieri. 3.4
Anche i risultati salariali dell’accordo non sono soddisfacenti,
soprattutto per quanto riguarda la produttività. Al miglioramento dei conti
dell’azienda non ha corrisposto la crescita dei salari in tutto il gruppo. Ciò
significa che una quota dell’aumento reale della produttività non è ancora
stata ridistribuita e che l’azienda sta accumulando le riserve per gestire i
salari a sua discrezione, con gli incentivi individuali. L’azienda aveva
proposto di allungare la scala da 35 a 40 punti. Noi abbiamo respinto la
proposta per tre ragioni: ·
si rischia di aumentare le differenze salariali tra i diversi cantieri e
anche tra le diverse aree dello stesso cantiere; ·
se si considera poi che ci sono voluti sei anni per arrivare a 35 punti
(per i quattro cantieri che ci sono arrivati), aggiungerne altri 5 vorrebbe dire
promettere solo salario virtuale; ·
l’allungamento della scala rappresenterebbe un’ipoteca sulla futura
contrattazione aziendale. Il
coordinamento nazionale Fim, Fiom, Uilm ha avanzato una controproposta che è
stata spiegata ai lavoratori nelle assemblee ma che non è stato ancora
possibile discutere con l’azienda. Ma per noi c’è un problema salariale che
rimane aperto in Fincantieri. 3.5
Per tutti questi motivi è assolutamente necessario concludere con dei
risultati la verifica sull’applicazione dell’Accordo di gruppo. L’azienda
sta cercando di eludere il confronto con una continua politica del rinvio, ma
questo porterà solo al conflitto. Abbiamo aspettato anche troppo. Non è
possibile accettare che un accordo che è stato approvato dalla stragrande
maggioranza dei lavoratori del gruppo venga considerato dall’azienda un
documento da archiviare tra le carte della precedente gestione. 4.1 Questo documento definisce la posizione della Fiom su tutte le questioni inerenti lo stato e le prospettive del gruppo Fincantieri. Esso contiene quindi la linea e il piano di azione con cui la Fiom intende affrontare la complessa fase della privatizzazione. 4.2 Noi ribadiamo che il mantenimento dell’unità e l’integrità del gruppo costituiscono un obiettivo strategico e ci opporremo quindi a ogni ipotesi di smembramento che minerebbe alla base la prospettiva industriale di una delle più importanti aziende manifatturiere del nostro paese. Le ragioni per sostenere l’unità e l’integrità del gruppo sono molteplici: ·
nella cantieristica navale la dimensione è un fattore di forza
industriale, perché permette di affrontare carichi di lavoro di grande volume e
diversificati nella tipologia; ·
la presenza “duale” di civile e militare permette un continuo scambio
di tecnologie e applicazioni (che in questa fase in campo navale vanno
soprattutto dal civile al militare); ·
un gruppo integrato di otto cantieri permette di operare su diversi
segmenti (navi da crociera, militare, traghetti, navi da trasporto speciali,
ecc.) e perciò di reggere meglio ai cicli del mercato; ·
soltanto una dimensione di grande azienda permette di avere un’attività
di ricerca sufficiente a sostenere la necessaria innovazione di prodotto e di
processo. 4.3
Per queste ragioni, fin dallo scorso febbraio, il coordinamento nazionale
Fim, Fiom, Uilm del gruppo Fincantieri ha avanzato una proposta che è anche la
sola ipotesi credibile per procedere alla privatizzazione di Fincantieri nei
tempi stabiliti senza mettere a rischio l’unità e l’integrità del gruppo.
Noi abbiamo proposto che il gruppo Fincantieri entri a far parte, con tutte le
sue articolazioni, di Finmeccanica. Questa soluzione sarebbe positiva per due
ragioni di fondo: ·
dal lato di Fincantieri risolverebbe il problema della sua
privatizzazione, offrendole nello stesso tempo una dimensione finanziaria più
forte e la possibilità di sfruttare sinergie industriali interne a
Finmeccanica; ·
dal lato di Finmeccanica l’acquisizione di Fincantieri affermerebbe un
ruolo importante nel panorama industriale italiano di una conglomerata che
controlla attività industriali di alta tecnologia e non solo militari. 4.4 Per sostenere questa soluzione è già stata avviata un’iniziativa nei confronti delle amministrazioni comunali delle città cantieristiche, delle istituzioni, dei parlamentari. Sarebbe importante arrivare a una conferenza delle città marinare, promossa dai sindaci, nella quale affrontare i problemi dello sviluppo dell’economia marittima e della cantieristica navale come struttura industriale portante di questa economia. 4.5 Ma è necessario anche un intervento diretto sul Parlamento, che deve essere chiamato a discutere sulle scelte che comunque verranno compiute. Non è in gioco solo il futuro di Fincantieri, una società a capitale pubblico, è in gioco la presenza dell’Italia in un settore industriale strategico. Non è pensabile che si possa giungere a decisioni tali da compromettere problemi di questa portata senza che il Parlamento ne sia investito. 4.6 Il governo non può restare alla finestra e sottrarsi al dovere di definire un indirizzo di politica industriale anche per questo settore. Non si può più perdere tempo. E’ necessario che tutti i soggetti coinvolti in questa vicenda mettano le carte in tavola: lo deve fare Fincantieri, lo deve fare Finmeccanica, ma lo deve fare anche il governo. 4.7 La nostra iniziativa non potrà svolgersi soltanto sul terreno politico. Occorre una iniziativa sindacale dentro il gruppo che abbia la forza di modificare le scelte sbagliate del gruppo dirigente. La lotta contro ogni ipotesi di smembramento, di scorporo, di vendita frazionata, di tagli alla capacità produttiva e all’occupazione, di outsourcing ecc. deve essere condotta prima di tutto dall’interno del gruppo, coinvolgendo direttamente i lavoratori. Questa iniziativa non può che partire da un’azione per il rigoroso rispetto degli accordi sottoscritti. |